Il presidente congolese Félix Tshisekedi ha dichiarato di non cercare un terzo mandato nella sua iniziativa di voler rivedere la Costituzione della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), a quattro anni dalla fine del suo secondo e ultimo quinquennio.
Intervenendo a un comizio a Lubumbashi, nel sud-est del Paese, sabato sera, il presidente congolese ha affermato che la sua dichiarazione fatta a Kisangani tre settimane fa, riguardo alla volontà di rivedere la Costituzione, “non aveva alcun legame con un terzo mandato”.
“Nessuno mi farà cambiare idea su questa questione”, ha aggiunto Félix Tshisekedi, impegnandosi a rivedere e, se necessario, “modificare tramite referendum” l’attuale Costituzione che, secondo lui, sancisce la “vendita” della sovranità del Paese ad alcuni Stati africani.
“Ci sono trappole in questa Costituzione. Le guerre che ne sono derivate rientrano nel quadro di ciò che è scritto in questa Costituzione all’articolo 217. Vogliono costringerci ad abbandonare una parte della nostra sovranità a Stati vicini”, ha argomentato il presidente davanti a migliaia di sostenitori riuniti in Place de la Poste. Ha avvertito che “coloro che manipoleranno la nostra popolazione saranno esposti a procedimenti giudiziari”. Tshisekedi ha affermato che il dibattito è permesso, ma ha messo in guardia contro la manipolazione.
“Ma la manipolazione è proibita, soprattutto quando è finalizzata alla sovversione, a mettere un gruppo di congolesi contro altri congolesi”, ha precisato.
L’opposizione e la società civile temono che qualsiasi iniziativa di revisione o modifica della Costituzione possa permettere al presidente, in carica dal 2019, di cercare un terzo mandato, basandosi su un “azzeramento del conteggio” dopo la revisione. L’oppositore Martin Fayulu ha dichiarato ieri di essere “l’unico presidente legittimamente eletto dal 2018” e ha promesso di opporsi “fermamente, insieme al popolo, al suo disastroso progetto di modifica costituzionale”.
Promulgata nel 2006, l’attuale Costituzione è stata modificata solo nel 2011 per ridurre le elezioni presidenziali a un unico turno e per escludere il ministro della Giustizia dal Consiglio superiore della magistratura.