Saltata la valvola di Bukavu, “ci sono ormai tutte le ragioni per credere che l’M23 e i suoi alleati stiano puntando più lontano e potrebbero cercare di raggiungere la vicina regione del Maniema, successivamente il Katanga”. L’ipotesi è lanciata dalla giornalista specialista del Grandi Laghi africani Colette Breackman sul quotidiano belga per il quale lavora da tempo, Le Soir.
“I giornalisti di Lubumbashi, la capitale del Katanga, assicurano a Le Soir di attendere senza timore un possibile arrivo dell’M23 e dei suoi alleati. Dicono di essere stanchi della presenza invasiva dei Kasaiani (il gruppo etnico del presidente Felix Tshisekedi). Negli ultimi anni, questi ultimi sono arrivati in massa a Lubumbashi per dirigersi verso le miniere della provincia del rame, sconvolgendo la popolazione del Katanga”, scrive la reporter.
Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, alla quale si sono riuniti i leader mondiali, il presidente Tshisekedi ha indicato il suo predecessore Joseph Kabila come possibile sponsor della ribellione. Considerato di origine katanghese (suo padre Laurent Désiré Kabila era originario del nord della provincia), il taciturno Kabila si ritrova in esilio in un Paese dell’Africa meridionale. “Nasconde sempre le sue intenzioni, ma ricordiamo che era molto vicino a Corneille Nangaa, oggi a capo della Congo River Alliance, volto politico dei ribelli”, ricorda Braeckman.
La giornalista afferma anche che nel prossimo futuro, tra gli obiettivi potrebbe rientrare anche Bujumbura, la capitale del Burundi. Attraverso l’aeroporto della capitale del Burundi, le truppe alleate di Kinshasa, tra cui quelle sudafricane, possono essere dispiegate per portare aiuto al governo centrale, indebolito da questa guerra. Il potere hutu in Burundi, incarnato dal presidente Evariste Ndayishimiye, è un fedele alleato di Kinshasa. Potrebbe quindi rappresentare il prossimo domino. Indebolito dalla crisi economica, il capo dello Stato burundese viene minacciato da un gruppo ribelle tutsi. Il movimento Red Tabara ha i suoi sostenitori anche in Ruanda e i suoi combattenti sono accampati sulle alte montagne del Sud Kivu. Il Ruanda ritiene quindi che la sua linea di difesa passi anche attraverso il Sud Kivu e le sue alte montagne che dominano il lago Tanganica.
Nel cosiddetto Grande Nord, vale a dire nell’Ituri, la prospettiva di nuovi combattimenti è stata annunciata dal figlio del presidente ugandese Yoweri Museveni. L’uomo che chiama Kagame “mio zio” ha denunciato gli attacchi contro il gruppo etnico Hema. Ha assicurato che l’esercito ugandese potrebbe intervenire per difendere i suoi “cugini”. In altre parole, a Kagame potrebbe aggiungersi l’Uganda, che ricorderà così che il “Grande Nord” del Congo appartiene alla sua zona di influenza, da dove hanno origine i circuiti di esportazione di oro, minerali e cacao dal Congo.
In diverse occasioni, Ruanda e Uganda si sono trovati in aperto conflitto per via della concorrenza commerciale. Félix Tshisekedi aveva quindi cercato di sfruttare queste differenze, deviando le rotte delle esportazioni verso l’Uganda che prima si dirigevano verso il Ruanda. La “grande guerra” di oggi ha costretto tutte le parti in causa a serrare i ranghi e a dimenticare le rivalità di ieri.
La giornalista prosegue facendo notare che di fronte a questa “linea di violenza” disegnata dai vicini, che attraversa tutto l’est del Paese e va da nord a sud, non si vede traccia di una “unione nazionale” che riunisca tutti i partiti politici congolesi: i grandi nomi dell’opposizione come Moise Katumbi, ex governatore del Katanga, Martin Fayulu a Kinshasa e molti altri si guardano bene dal prendere posizione aperta.
Le Chiese stesse sono divise: mentre i vescovi cattolici e protestanti hanno imbracciato il loro bastone del pellegrino, le altre fedi, più vicine al potere, hanno protestato duramente contro questa mediazione e hanno lanciato appelli a forti manifestazioni davanti ai templi protestanti e alle chiese cattoliche. Sui social media sono stati pubblicati messaggi che chiedono la “profanazione” dei luoghi di culto cattolici.