Con un messaggio inviato su Wechat, il sistema di messaggistica istantanea più usato in Cina, l’ambasciata cinese di Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) ha informato i suoi cittadini e le aziende presenti in Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri di evacuare il prima possibile le province orientali congolesi.
di Andrea Spinelli Barrile
In generale, entro il 10 dicembre, richiede l’ambasciata, i cinesi residenti nelle tre province dovranno dare alle autorità consolari una risposta e aver pianificato la partenza o, in alternativa, andare incontro alle “conseguenze”. Più in particolare invece coloro che vivono nelle città dei territori di Bunia, Djugu, Beni, Rutshuru, Fizi, Uvira e Mwenga dovrebbero “partire immediatamente”.
La richiesta dell’ambasciata cinese ha diverse letture possibili: una è che la situazione della sicurezza nella Rdc orientale è fuori controllo per le autorità locali, l’altra è che nemmeno l’ambasciata cinese a Kinshasa può garantire la sicurezza all’organizzata e protetta diaspora cinese, che in quei territori è impegnata in particolare nell’industria mineraria e nell’estrazione delle terre rare: “Chiediamo a tutti i cittadini cinesi e alle imprese di proprietà cinese in Congo di prestare molta attenzione alla situazione locale, aumentare il livello di allerta preparandosi alle emergenze ed evitare viaggi non necessari” ha detto l’ambasciata nella sua informativa.
A novembre diversi cittadini cinesi sono stati aggrediti e rapiti nelle tre province, dove insiste la guerriglia di diversi gruppi armati: il mese scorso cinque cittadini cinesi sono stati rapiti da una miniera d’oro nel Sud Kivu, al confine con Ruanda, Burundi e Tanzania, altri due sono stati uccisi e almeno 8 sono stati rapiti da miliziani del gruppo armato Codeco.
La crescente sfiducia tra le aziende cinesi e le comunità locali, che accusano le prime di non rispettare le normative ambientali, sullo sfruttamento e l’inquinamento dei fiumi e sullo sfruttamento della manodopera locale, ha reso la comunità cinese sempre più isolata, più esposta a rapimenti a scopo estorsivo, rapine a mano armata e azioni di violenza volte spesso anche solo a mostrare la forza militare da parte dei gruppi armati, il tutto in un contesto dove le autorità locali si sono dimostrate incapaci di una risposta concreta alla guerriglia.
La situazione è stata oggetto anche di un incontro, in occasione del vertice Cina-Africa appena conclusosi a Dakar in Senegal, tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il suo omologo congolese Christophe Lutundula, che hanno discusso proprio della sicurezza dei cittadini cinesi in Congo: secondo l’agenzia di stampa Xinhua la parte cinese è “estremamente preoccupata per i recenti gravi crimini di rapimenti e omicidi dei suoi cittadini”, ed ha esortato Kinshasa di fare il possibile per ottenere “il rilascio dei rapiti” e creare “un ambiente sicuro e stabile per la cooperazione bilaterale”. A maggio il presidente congolese Felix Tshisekedi ha dichiarato lo stato d’assedio nell’Ituri e nella vicina provincia del Nord Kivu per combattere i gruppi armati. La misura ha incluso anche la sostituzione di alti funzionari civili con l’esercito e gli ufficiali di polizia.