Sono bastati quaranta giorni di processo per condannare Vital Kamerhe, uno dei più noti esponenti politici contemporanei congolesi, a vent’anni di lavori forzati, seguiti da dieci anni di ineleggibilità.
Arrampicatosi alla guida del gabinetto presidenziale nel gennaio 2019, a ridosso dell’elezione di Felix Tshisekedi, Kamerhe è stato dichiarato colpevole di appropriazione indebita di 48 milioni di dollari destinati ad un’azienda di costruzioni, la Samibo, nell’ambito del cosiddetto “programma dei 100 giorni”. Il processo era iniziato l’11 maggio scorso nel cortile del carcere di Makala, dove si era trasferita appositamente la Corte di Kinshasa-Gombe.
Il coimputato di Kamerhe in questo processo, il titolare della Samibo, l’uomo d’affari libanese Samih Jammal, è stato anche lui riconosciuto colpevole. L’imprenditore, 79enne, è stato condannato a vent’anni di lavori forzati e a lasciare definitivamente il territorio congolese.
Per il grado che gli competeva nel 2019, Vital Kamerhe ha messo la firma su numerosi documenti relativi ai finanziamenti di progetti per il “programma dei 100 giorni”, un’iniziativa lanciata da Tshisekedi a marzo dello stesso anno, per realizzare infrastrutture in tempi rapidi. Secondo l’accusa e il tribunale, gli imputati hanno orchestrato un’operazione che ha permesso il dirottamento di fondi pubblici a fini personali. Tra i benefici di questa operazione, ci sarebbe l’acquisto di beni immobiliari intestati a una parente di Kamerhe.
La difesa del leader politico ha annunciato un appello. Gli avvocati sostengono che il tribunale non ha mostrato le prove della malversazione. Mai, inoltre, la Corte ha considerato il fatto che l’imputato rispondeva agli ordini di un presidente.
Dall’inizio di questa vicenda molto seguita, l’opinione pubblica è divisa. Per alcuni, è l’esempio di una giustizia che finalmente si decide ad agire in maniera imparziale, fino ai vertici del potere. Per altri, è frutto di un imbroglio politico mirato a spezzare l’ascesa di Kamerhe e a impedire la sua probabile candidatura alle prossime elezioni presidenziali. Nel Sud-Kivu, provincia d’origine del leader, alcuni simpatizzanti sono scesi in piazza in maniera spontanea, sabato, dopo la condanna.
Presidente dell’Unione per la nazione congolese (Unc), partito da lui fondato alla fine del 2010 dopo aver lasciato il Pprd dell’ex presidente Joseph Kabila, Kamerhe era arrivato terzo alle presidenziali del 2011. Nel 2018 aveva accettato di ritirarsi a favore di Tshisekedi nell’ambito di un’intesa pre-elettorale che lo avrebbe dovuto posizionare alla carica di primo ministro. La vincita della coalizione filo-Kabila alle parlamentari non ha reso possibile tale nomina, motivo per il quale a Kamerhe è stata data la guida del gabinetto presidenziale.
A complicare l’intrigo politico-giudiziario è stato il decesso inaspettato, il 27 maggio scorso, del giudice Raphael Yanyi Ovungu, il magistrato che presiedeva il processo. Le conclusioni dell’autopsia rese note la scorsa settimana hanno rivelato che sarebbe stata un’emorragia intracranica, dovuta a un trauma cranio-encefalico, la vera causa della morte. Nel corpo del giudice sono anche state trovate non meglio precisate sostanze tossiche, ma non in quantità tali da poter determinarne la morte. Il ministro della Giustizia, Celestin Tunda ya Kasende, ha ordinato un’indagine per fare chiarezza sulle circostanze del decesso.