di Céline Camoin
La nozione di “tecnocolonialismo” potrebbe essere una delle chiavi di lettura per capire meglio le cause dei conflitti a ripetizione che impediscono al nord est della Repubblica democratica del Congo di vivere in pace e di godersi i frutti delle immense ricchezze del suo sottosuolo. La utilizza il sociologo Fabien Lebrun, ricercatore membro del collettivo della rivista Illusio, esponente dell’associazione Survie, autore tra l’altro del volume “Écrans et barbarie numérique”(Ed. Le bord de l’eau), in italiano Schermi e barbarie digitale, che collega “boom minerario” degli anni Novanta alle ripetute guerre che hanno colpito il Paese per tre decenni.
Intervistato da Michael Pauron per Afrique XXI, in un articolo uscito ieri, mentre si sta consumando un nuovo picco di guerra nel Nord-Kivu, Lebrun è convinto che sono le potenze capitaliste e il settore estrattivo globale a finanziare le centinaia di milizie che operano da trent’anni nel territorio. “Per me, da un punto di vista economico e industriale, questo è l’elemento centrale di queste guerre ripetute. Tutto ciò corrisponde al periodo della digitalizzazione e della miniaturizzazione”, sottolinea il ricercatore. Ricorda che ogni anno vengono venduti circa 1,5 miliardi di smartphone, 500 milioni di televisori, 500 milioni di personal computer, 200 milioni di tablet, 50 milioni di console per videogiochi… Per non parlare dei miliardi di schermi e oggetti connessi (come frigoriferi, automobili, ecc.) che dipendono da minerali e metalli, gran parte dei quali si trovano nell’Africa centrale, almeno quelli più strategici.
Riflettendo sulla riattivazione della milizia M23 sostenuta dal Ruanda, Lebrun ricorda che nel 2021 il presidente congolese Felix Tshisekedi ha firmato un accordo con l’Uganda per facilitare la costruzione di strade e il trasporto di prodotti minerari, forestali e agricoli. Quasi contemporaneamente, diversi rapporti hanno mostrato che saranno necessari sempre più tantalio e minerali strategici in particolare per la 5G e per le auto elettriche. “In questo contesto, diversi osservatori ritengono che il Ruanda, che non vuole essere privato di alcune esportazioni e quindi di una parte di questo mercato, abbia riattivato l’M23 come forma di reazione agli accordi siglati tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Propendo per questa ipotesi, soprattutto perché l’M23 ha rapidamente messo le mani sulla miniera di Rubaya a Rutshuru, dove si trova il 15% delle riserve mondiali di coltan. Detto questo, alcuni rifugiati M23 si trovano in Uganda. Kampala ha quindi quantomeno chiuso un occhio”.
In questo scenario non sono esenti da responsabilità le élite congolesi: “Tra le élite della regione esistono interessi divergenti e contraddittori. Durante le due guerre del Congo (dal 1996 al 1997 e dal 1998 al 2002, Ndr) gli eserciti sul campo che scoprirono tutta questa ricchezza guadagnarono molti soldi”. Dopo gli accordi di pace, non potendo più restare sul posto, hanno controllato i gruppi armati a distanza. “Il novanta per cento dei minerali 3TG (stagno, tantalio, tungsteno e oro, Ndr) marchiati ruandesi sono congolesi. E questo saccheggio beneficia della complicità dei congolesi, questo è ovvio”, afferma Lebrun. L’autore ritiene che Felix Tshisekedi (come Joseph Kabila prima di lui) potrebbe porre fine a questo saccheggio, ma le Forze armate della Repubblica Democratica del Congo partecipano in larga misura a questo sfruttamento, come centinaia di gruppi armati. Le élite congolesi, comprese quelle locali, firmano contratti, vendono le terre della loro popolazione e guadagnano ricche somme di denaro.
Nell’intervista, come nel libro, Fabrien Lebrun evidenzia che il concetto di estrattivismo è tornato di moda venticinque anni fa, in un periodo chiamato “boom minerario”, che corrisponde allo sviluppo della tecnologia digitale ma anche alla forte domanda da parte dei Paesi emergenti (India, Cina…). Diversi studi dimostrano un forte aumento della pressione sulla terraferma, detta principalmente “metallica”. Questo periodo è stato paragonato al XVI secolo, soprannominato l’età dell’oro, e che coincideva con la tratta degli schiavi e il colonialismo. “La mentalità delle strutture e delle istituzioni coloniali e le loro pratiche persistono attraverso una divisione internazionale del lavoro e una produzione globalizzata. In questa nuova fase del capitalismo continuano a verificarsi pratiche criminali: l’estrattivismo, la frode e il lavoro forzato, paragonabili alla schiavitù”.