Sei persone uccise, 49 ferite e 94 arresti. Questo è il bilancio aggiornato dal portavoce della Missione delle Nazioni Unite in Congo, la MONUSCO, dopo gli attacchi da parte della polizia alla marcia anti-Kabila nella RDC. Le forze di sicurezza hanno usato gas lacrimogeni e munizioni vere, secondo la Monusco, che aveva annunciato l’invio di osservatori sul campo e testimoni inclusi giornalisti, locali e stranieri.
Nonostante questo Joseph Kabila ha usato la repressione più dura, incurante dell’immagine internazionale che tutto questo comporta. Evidentemente si fa forte del fatto che non ci sono misure internazionali che lo possano scalfire. Il paese ormai fa affari in buona parte con investitori pubblici e privati cinesi che non si preoccupano di difesa dei diritti umani, democrazia e principi costituzionali.
Inoltre Kabila può contare su una sorta di blocco regionale costituito dall’Uganda di Musseweni, dal Ruanda di Kagame, dal Burundi di Nkurunziza. Proprio quest’ultimo per restare ha usato largamente la violenza e la repressione senza subire nessuna gogna (o quasi) a livello internazionale. Nkurunziza è ancora lì, dimenticato dalle proteste internazionali. Kabila fa parte del gioco di questo blocco regionale e se ne fa forte. Le elezioni, programmate per dicembre 2018, quasi certamente non si svolgeranno. A costo di quante decine di morti?
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)