Ha sollevato un polverone durante il fine settimana l’inchiesta Congo hold-up realizzata da un gruppo di 19 media internazionali e che rivela trasferimenti illeciti per 138 milioni di dollari di fondi pubblici a privati, da parte di membri della cerchia stretta dell’ex presidente della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) Joseph Kabila. L’indagine, resa nota a partire da venerdì simultaneamente da diversi media internazionali e ong, si basa su quella che è definita la più vasta fuga di documenti bancari mai avvenuta in Africa, 3,5 milioni di file confidenziali della banca Bgfi ottenuti da Mediapart e dalla Piattaforma per la protezione degli informatori in Africa (Pplaaf). Per sei mesi, questi media hanno analizzato i dati sotto il coordinamento della rete European investigative collaborations (Eic).
I primi elementi diffusi al grande pubblico collocano al centro delle malversazioni la filiale di Kinshasa della Banca gabonese e francese internazionale (Bgfi), controllata da una sorella e un fratello adottivo dell’oggi senatore a vita Kabila. Banca presso la quale hanno conti le società Sud Oil e Kwanza Capital, di cui i membri della famiglia Kabila sono azionisti di rilievo. Questi conti – secondo un rapporto del Congo Research Group utilizzato nel progetto Congo hold-up – hanno beneficiato di 92,3 milioni di dollari di trasferimenti privi di giustificazioni, da varie aziende e organizzazioni pubbliche, tra cui la Banca centrale, la commissione elettorale, la missione permanente presso le Nazioni Unite, l’Assemblea nazionale e un fondo creato per gestire i pedaggi stradali. A questo si aggiungono depositi cospicui di denaro, come i 33 milioni di dollari depositati in contanti.
L’analisi dei documenti – secondo gli autori dell’inchiesta – mostra come la famiglia Kabila e i suoi associati abbiano ricevuto, con la complicità della Bgfi, 138 milioni di dollari dalle casse dello Stato tra il 2013 e il 2018.
Il gruppo Bgfi Bank è il primo gruppo bancario dell’Africa centrale, nato come filiale della Paribas in Gabon, nel 1971, e diventato al 100 per cento gabonese – con quote detenute dalla famiglia presidenziale dei Bongo – negli anni ’90, dopo il ritiro di Paribas. In Rd Congo, il 40% del capitale della sua controllata è stato assegnato dal 2010 alla sorella minore dell’ex presidente Kabila, Gloria Mteyu. Ma attraverso i leaks dell’inchiesta, si scopre che fino a maggio 2018 Mteyu non aveva mai pagato le sue quote, che ammontavano a 15 milioni di dollari. Tale somma sarebbe stata anticipata dalla stessa Bgfi. L’amministratore delegato di Bgfi Bank Rdc era invece Francis Selemani Mtwale, fratello adottivo di Joseph Kabila, allora capo dello Stato.
A reagire ufficialmente al rapporto, per conto dello schieramento filo-Kabila, Barbara Nzimbi, consigliere per la comunicazione del senatore Joseph Kabila. “Nessuna riga in questo rapporto dimostra il coinvolgimento effettivo o addirittura implicito dell’ex presidente. Sono citate una banca commerciale, istituzioni nazionali e società private i cui funzionari al momento dei presunti fatti sono identificati e non hanno nulla a che fare con la presidenza della Repubblica all’epoca”, ha detto Nzimbi. I kabilisti attendono l’intera documentazione per studiarla ed eventualmente ribattere con argomenti reali.
L’ex segretario personale e consigliere diplomatico di Joseph Kabila, Barnabé Kikaya Bin Karubi, molto critico dell’attuale amministrazione, ha denunciato una vicenda “sensazionalistica” per “denigrare” Kabila perché “l’uomo fa paura” (sottinteso all’attuale leadership politica) “e non è sorprendente, il popolo grida aiuto”.
I media che hanno partecipato all’inchiesta sono: la rete Eic, Rfi Mediapart, De Standaard, Le Soir, Nrc, Der Spiegel, InfoLibre, Politiken, Expresso, Vg, Nacional, Rcij, Bloomberg, L’Orient le Jour, Bbc Africa Eye, KvF, The Namibian, The Continent, The Wire. Le Ong e gruppi di studio coinvolti sono il Congo research group, The Sentry, Pplaaf, Resources Matters e Public Eye.
Mentre uscivano le rivelazioni di Congo hold-up, l’Agenzia nazionale anticorruzione (Aplc) trasferiva alla procura della Repubblica congolese i risultati di otto mesi di indagini concluse con la verifica di malversazioni per milioni di dollari presso la direzione dell’agenzia delle entrate di Kinshasa. Le denunce dell’Apls sono il risultato di un audit scattato ad ottobre sul presunto dirottamento di 35 milioni di dollari di introiti fiscali.