Abdullah bin Abdul Aziz, sesto re saudita e per anni il più anziano sovrano regnante al mondo, è morto ieri all’età di 90 anni, gli succederà il fratello 79enne, principe Salman bin Abdul Aziz.
Alleato cruciale degli Stati Uniti e acerrimo nemico dell’Iran sciita, Abdullah era figlio del fondatore dell’Arabia Saudita Abd al Azīz bin Saud . Come tutti i principi della casa regnanteha ricevuto la tradizionale educazione islamica dopo aver passato su ordine del padre un lungo periodo della sua infanzia con le tribù beduine nomadi perché diventasse «forte fisicamente e mentalmente». Questa formazione ne ha fatto un paladino dei valori ultraconservatori dell’Islam wahabita. E, sebbene sia vero che negli anni si è fatto promotore di numerose iniziative per il dialogo interreligioso, è anche vero che ha guidato una nazione che ha fatto del proselitismo islamico una strategia di penetrazione nei Paesi del Sud del mondo. In particolare modoin Africa. È grazie ai fondi stanziati dai sauditi che il continente si è riempito di moschee e di predicatori wahabiti. Non solo nella regione settentrionale, ma anche in quella subsahariana. Basti ricordare la lenta, ma costante, penetrazione in Etiopia, Somalia, Kenya, Tanzania, Ciad, Sudan.
Ma va ricordato anche il ruolo che i predicatori (e i finanziamenti) hanno avuto in conflitti o in crisi politiche recenti. Come quello della Repubblica centrafricana dove, secondo alcuni rapporti di intelligence, i ribelli musulmani Seleka sarebbero stati sostenuti dai sauditi. O in Egitto, dove l’Arabia Saudita ha aiutato il generale Abd al-Fattah al-Sisi nel golpe che ha rovesciato il presidente Mohamed Morsi, espressione della Fratellanza musulmana (e quindi alleata al Qatar, rivale storico di Ryadh).
L’Arabia ha sempre avuto un ruolo ambiguo anche nei confronti dei terroristi islamici di al Qaeda: duramente repressi in patria, tollerati (se non sostenuti) all’estero. Va ricordato che sui 19 attentatori dell’11 settembre, 15 erano sauditi. Che lo stesso Osama bin Laden era un saudita. Che al Qaeda ha avuto una parte importante nell’instabilità della zona saheliana (Mali in primis). E, anche in questo caso, si è sempre parlato di finanziamenti da parte dei sauditi: se non dallo Stato, almeno da fondazioni private. Un ruolo ambiguo che se ufficialmente non è stato sostenuto dal sovrano, lo stesso sovrano ha tollerato.