di Enrico Casale
Israele sta tornando a guardare con rinnovato interesse al continente africano. Negli ultimi anni ha stretto rapporti con Guinea, Ruanda, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Marocco e Sudan.
“Alcuni Paesi africani sono geograficamente strategici. Dalla fondazione di Israele, lo Stato ebraico ha avuto una relazione speciale con il Kenya e con l’Etiopia, che è una finestra aperta sul Mar Rosso, punto di passaggio strategico per Israele a livello commerciale e di sicurezza”, ha spiegato Anne-Sophie Sebban-Bécache, dottore in geopolitica e direttrice dell’American Jewish Committee (Ajc), a Tv5 Monde, emittente francese. La posta in gioco per gli israeliani è la conquista di sbocchi commerciali, assicurarsi uno sbocco sul Mar Rosso, ottenere l’appoggio dei Paesi africani nei maggiori organismi internazionali, tra cui l’Onu. Ma anche “crearsi un’immagine credibile”, spiegano gli analisti.
“Ci siamo resi conto alcuni anni fa che non c’è motivo per cui i Paesi africani siano automaticamente ostili a Israele”, ha affermato Ram Ben-Barak, presidente della commissione per gli Affari esteri della Knesset ed ex vicedirettore del Mossad (il servizio segreto esterno di Israele).
Le relazioni tra Israele e l’Africa avevano vissuto un’età d’oro negli anni Sessanta. Lo Stato ebraico godeva allora di una forte simpatia da parte dei Paesi africani che avevano appena acquisito l’indipendenza. Ma nel 1973 tutti i Paesi membri dell’Organizzazione dell’Unità Africana (Oua), antesignana dell’Unione Africana, avevano interrotto le loro relazioni diplomatiche con Israele in solidarietà con l’Egitto, parte del cui territorio, il Sinai, era stato occupato dalle forze armate israeliane dopo la guerra dello Yom Kippur. Lo Stato ebraico è stato quindi inserito nella lista nera dal continente fino alla firma degli Accordi di Oslo nel 1993.
Israele ha ora relazioni diplomatiche con una quarantina di nazioni africane e lì ha una quindicina di ambasciate. Riapertura delle ambasciate, reinvestimento economico, offerta di competenze in materia di sicurezza: è stato l’ex primo ministro Benyamin Netanyahu ad avviare questo ritorno di Israele nel continente.
Nell’ottobre 2020 il Sudan, storico nemico di Israele, ha normalizzato le sue relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. Due mesi dopo, è stata la volta del Marocco, che non aveva mai riconosciuto ufficialmente Israele dalla sua creazione nel 1948 (pur avendo una delle più grandi comunità ebraiche del continente africano). Nel dicembre 2021 i due Paesi hanno fatto un altro passo avanti con la firma di accordi di fornitura di armi e la cooperazione dei servizi di intelligence. Anche Israele e Marocco hanno firmato lo scorso febbraio a Rabat un accordo di cooperazione economica e commerciale. L’obiettivo è quadruplicare gli scambi tra i due Paesi, che oggi ammontano a 130 milioni di dollari l’anno.
In questi giorni, una delegazione dell’Organizzazione mondiale sionista (Wzo) guidata dal presidente dell’esecutivo dell’organizzazione, Yaakov Hagoel, sta visitando Gondar, antica città dell’Amhara, in Etiopia, dove, un tempo, era molto forte la comunità dei beta israel, gli ebrei etiopi (noti anche con l’appellativo falasha). Hagoel ha affermato che Etiopia e Israele hanno una forte relazione economica, soprattutto nei settori dell’agricoltura, della salute, dell’istruzione e del commercio. Una relazione che la Wzo sta cercando di rafforzare. Non è un caso che Gondar ha stabilito relazioni di gemellaggio con Tel Aviv e Hipa in Israele e le rispettive amministrazioni comunali lavorano insieme per rafforzare le relazioni.
Le esportazioni israeliane verso l’Africa ammontavano a 685 milioni di dollari nel 2021, cioè l’1,3% del totale. Israele scommette sui settori della tecnologia, del digitale, dell’agricoltura dove operano aziende che sono eccellenze a livello mondiale. “Ci sono segnali di futuri progetti sviluppati da Israele per incoraggiare le start-up ad emergere in Africa”, osserva Anne-Sophie Sebban-Bécache.
Per quanto riguarda il settore agricolo israeliano, possiede competenze tecnologiche all’avanguardia in termini di agricoltura in ambienti aridi, produzione di energie rinnovabili e gestione dell’acqua. “Israele ha cercato sin dalla sua creazione di raggiungere l’autosufficienza e sviluppare l’agricoltura, pur dovendo fare i conti con un clima desertico. Inoltre, prima dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra lo Stato ebraico e i paesi del continente, sono stati stabiliti i primi contatti tra l’Agenzia israeliana per gli aiuti allo sviluppo dell’epoca e i governi africani”, spiega Anne-Sophie Sebban-Bécache.
L’offensiva non è solo diplomatica ed economica. L’esperienza israeliana nell’antiterrorismo è sempre più richiesta in Africa. Anche le sue forniture militari e, in particolare, nella regione del Corno d’Africa dove i problemi di sicurezza sono numerosi. Già nel 2013, quando un centro commerciale a Nairobi in Kenya fu vittima di un attacco degli islamisti somali al-Shabaab, segnali di collaborazione tra Israele e Kenya sono diventati sempre più evidenti.
Inoltre, “il ripristino delle relazioni tra Israele e i paesi del G5 Sahel potrebbe indurre la Francia a rivedere la propria strategia nel campo della lotta al jihadismo cooperando maggiormente con gli israeliani per contrastare in particolare il crescente influenza dei russi”, afferma David Khalfa, ricercatore presso la Fondazione Jean-Jaurès, citato dal Journal du dimanche (Jdd).
Se la maggioranza dei Paesi africani è favorevole al dialogo con Israele, diversi pesi massimi del continente si rifiutano di farlo, in nome delle violazioni dei diritti umani perpetrate nei Territori palestinesi. Soprattutto Sudafrica e Algeria. Riunitisi lo scorso febbraio ad Addis Abeba, in Etiopia, per un vertice, i Paesi membri dell’Unione Africana erano divisi sullo status di osservatore di Israele all’interno dell’organizzazione. Diverse nazioni, tra cui appunto Sudafrica e Algeria, hanno cercato invano di ostacolare il provvedimento. Dalla fine dell’apartheid, i leader sudafricani hanno criticato il governo israeliano per aver perseguito una politica simile nei confronti dei palestinesi. Ma Pretoria rimane ancora il principale partner economico di Israele.