editoriale del n°2-2014 di Africa
Il copione è il solito: guerre e conflitti, secondo una certa informazione superficiale, schematica o “interessata”, sono sempre tribali o religiosi. Soprattutto in Africa.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo: è falso! E chi fa passare questo concetto è disinformato, ignorante (ignora cioè la realtà), oppure fa il gioco di qualche lobby politica, economica o affaristica.
Il caso della Repubblica Centrafricana, in questo periodo, è eclatante. Quando il governo del presidente Francoise Bozizé venne rovesciato, nel marzo scorso, la popolazione di questo Paese era a maggioranza di religione cristiana e solo l’11% (peraltro ritenuto sovrastimato) era di religione islamica. Questo, ufficialmente; nella realtà le cose erano ancora diverse, perché la quasi totalità degli abitanti, sia musulmani che cristiani, seguiva credenze tradizionali.
Se c’era un Paese nel quale non poteva scoppiare una guerra civile religiosa, di cristiani contro musulmani, era proprio il Centrafrica. La prova? È di questi giorni la notizia che, da due mesi, il capo delle comunità islamiche centrafricane vive ospite dell’arcivescovo cattolico di Bangui.
Oggi, invece, si preferisce parlare di un conflitto, che ha precipitato il Paese nel caos, caratterizzato dallo scontro tra i miliziani islamici dell’Alleanza “Seleka” e quelli cristiani di “Anti Balaka”, letteralmente anti-machete, cioè formazioni di autodifesa dei villaggi che, una volta armati, trascendono il loro scopo originario. Gli uni e gli altri hanno compiuto massacri, atrocità, violenze, stupri a danno della stragrande maggioranza della popolazione che, di religione islamica, cristiana o tradizionale, continua a vivere insieme, com’è sempre accaduto.
Oggi, tra i più di mezzo milione di profughi rifugiati a Bangui, ci sono cristiani e musulmani, entrambi perseguitati dall’una o l’altra parte, che in questi campi di fortuna non esitano a sostenersi e aiutarsi a vicenda. Certo, il fattore religioso ha il suo peso.
L’alleanza “Seleka” è composta da miliziani sudanesi e ciadiani, di religione islamica. La religione non è però il collante della rivolta, come forse ci vuole far credere il governo. I Seleka sono stati addestrati e finanziati da lobby di potere politico ed economico, nate in certi Paesi arabi così presenti nei mutamenti sociali e politici di alcuni Stati africani.
Si pensi solo alle vicende del Mali, o a quelle di altre regioni del Maghreb.Il conflitto religioso in questo Paese di undici milioni circa di abitanti è stato introdotto dall’esterno.
Ancora una volta, in questo modo, l’Africa è territorio di conquista, conteso da vecchie potenze coloniali che non vogliono perdere posizioni (vedesi la Francia), da potenze emergenti asiatiche (Cina innanzi a tutte) e da settori del mondo arabo che non esitano a giocare la carta religiosa, in risposta alla quale i loro concorrenti, a loro volta, rispondono per le rime.
In questo gioco al massacro, anche le religioni diventano “cattive”.