La Repubblica Democratica del Congo ha un primato: ha totalizzato quasi un milione di sfollati interni nel 2016. Un primato perché la Siria, che è la guerra mediaticamente più esposta, ne ha totalizzati “solo” 824mila, l’Iraq 659mila, l’Afghanistan 653mila, la Nigeria 501mila, lo Yemen 478mila.
Gli sfollati interni sono rifugiati e profughi che non hanno varcato le frontiere del loro Paese ma, come loro, hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni e i luoghi dove vivevano a causa della guerra, o della minaccia che questa possa scoppiare, o di crisi violente, oppure per persecuzioni religiose, etniche o semplicemente perché civili scomodi. Dunque gli sfollati interni sono solo una parte (e quella non più appariscente) dei conflitti. Vanno a sommarsi a profughi e rifugiati di cui La Repubblica Democratica del Congo vanta numeri altissimi.
Le regioni che forniscono maggiori sfollati interni in Congo sono il Kivu del nord e il Kivu del Sud dove praticamente buona parte delle persone vive in stanziamenti precari, pronti a muoversi per sottrarsi a conflitti o a violenze da parte delle numerose formazioni. Al Kivu si sommano gli sfollati interni della provincia del Kasai dove recentemente milizie locali, quelle di Kamwina Nsapu, fronteggiano l’esercito. Poi ci sono movimenti interni di poolazione anche nel Katanga e nell’Ituri.
Insomma un paese che vive nell’insicurezza. I problemi sono noti: un presidente, Joseph Kabila, che non vuole lasciare il potere sebbene non possa più occupare, secondo la costituzione, la carica di capo dello stato. E poi le immense ricchezze che ne fanno uno “scandalo geologico” al quale nessuno – nessuna grande potenza, nessuna grande mulsinazionale, nessun potentato – vuole rinunciare. Insomma il Congo, come dice l’attivista John Mpaliza, “E’ ricco da morire”. Letteralmente.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)