Ruanda: anche questa volta, Kagame piglia tutto

di claudia
Paul Kagame

Se i risultati fossero confermati sarebbe la vittoria plebiscitaria più grande e netta di sempre: secondo i risultati preliminari letti alla tv nazionale del Ruanda dal presidente della Commissione elettorale Oda Gasinzigwa “il candidato del Fronte patriottico ruandese Paul Kagame ha ottenuto il 99,15% dei voti alle elezioni presidenziali” di ieri. I suoi sfidanti, il candidato del Partito democratico verde del Ruanda, Frank Habineza, e il candidato indipendente Philippe Mpayimana hanno ottenuto rispettivamente lo 0,53% e lo 0,32%.

Dopo l’annuncio, verso le 22 di ieri sera, Kagame ha parlato in diretta dalla sede del Partito, di fronte ai suoi sostenitori e in diretta social, ringraziando “uno a uno” e dicendo che “questi risultati parlano chiaro”. Kagame ha anche commentato la percentuale che gli attribuisce la vittoria: “è davvero impressionante ma anche se venissi eletto con il 100%, qui non è solo una questione di numeri ma è un riflesso della fiducia che avete in me. E questo è ciò che conta di più per me”.

I risultati definitivi saranno pubblicati il 27 luglio ma al Fronte patriottico ruandese è già festa grande: dopo la riforma costituzionale adottata nel 2015, Paul Kagame può ancora guidare il Ruanda per due mandati quinquennali, potenzialmente fino al 2034.

Paul Kagame, 66 anni, gode di una forte popolarità per aver risollevato il Paese dopo il genocidio. Con una crescita solida (7,2% in media tra il 2012 e il 2022) accompagnata dallo sviluppo delle infrastrutture (strade, ospedali, ecc.) e dal progresso, soprattutto nel settore campi dell’istruzione e della sanità, il Ruanda è diventato oggi “la Singapore d’Africa”: tuttavia, secondo la Banca Mondiale, quasi un ruandese su due vive con meno di 2,15 dollari al giorno. Inoltre, il regime di Kagame è criticato per la sua ingerenza nella vicina Repubblica democratica del Congo (Rdc), dove secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite soldati combattono a fianco dell’M23, e per la sua repressione delle voci dissidenti nel Paese.

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