Camerun, Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo, Libia, Madagascar, Mozambico, Sudan. Sono questi i Paesi africani maggiormente nel mirino della disinformazione russa via social network – sostanzialmente Facebook e Instagram. L’informazione è rilevata da Shelby Grossman – ricercatrice allo Stanford Internet Observator, che si è avvalsa della collaborazione dello stesso Facebook – in un’intervista rilasciata all’Africa Center for Strategic Studies.
Gli account oggetto della ricerca fanno capo a Evgueni Prigozhin, l’oligarca a capo del gruppo di mercenari “Wagner”, la cui presenza è segnalata tra l’altro in Mozambico (dove si contano anche delle vittime tra loro) e in Libia.
Tra gli esempi dell’intossicazione informatica e informativa propalata eccelle il caso mozambicano, dove la Russia è determinata a occupare spazi (la provincia di Cabo Delgado, ricca di gas naturale, petrolio e altre risorse, fa gola a tutti). «Nel settembre 2019, un mese appena prima delle elezioni – ha dichiarato Grossman –, sono state create delle pagine all’esclusivo scopo di promuovere il Frelimo, il partito al potere». Non è detto che le fake news fossero poi bevute da tutti e sempre. Alla bufala secondo cui un partito d’opposizione avrebbe sottoscritto un accordo con Pechino per consentire alla Cina di smaltire in Mozambico le sue scorie nucleari, non sono mancate le reazioni del tipo: «Fatevi esaminare la testa. Non c’è un grammo di verità in questa notizia».
Un altro caso è quello libico. Anche qui i contractors di Wagner hanno “gli stivali sul terreno”: dalla parte di Haftar. I messaggi sono quindi a sua gloria (malgrado lo scetticismo di molti follower); ma anche a gloria di Gheddafi – quando «tutto andava bene» – e anche di Saïf al-Islam, suo figlio. Mosca sostiene effettivamente entrambi, anche se potenziali avversari, nella speranza di riuscire a operare un avvicinamento tra i due.
E potremmo continuare con altri esempi, tra cui quello del Centrafrica, Paese in cui la Russia sta cercando di ottenere diritti minerari, e per questo punta sugli uomini attualmente al potere – ma con la triangolazione di una società mineraria malgascia legata a un’impresa, appunto, russa.
Quanto alla “pulizia” da Facebook di tali pagine fake – e nonostante l’esistenza dello strumento “Trasparenza” messo a disposizione dallo stesso social (e anche del plugin CrowdTangle sul browser Chrome) – non è facile a farsi, spiega Shelby Grossman, in quanto si va sempre più un sistema di “franchising”. Le pagine relative al Sudan, per esempio, hanno amministratori residenti in Russia ma anche in Sudan e in Germania; quelle relative alla Libia hanno diversi amministratori in Egitto.
E, d’altra parte, se un governante si vede appoggiato da certe pagine dubbie, «non è evidente – conclude la ricercatrice di Stanford – che abbia un grande interesse a contrastare le false informazioni, per quanto false possano essere».
Foto: Vladimir Putin con il presidente del Mozambico, Filipe Nyusi