di Paolo Vezzoli
Il Mondiale di calcio di Russia 2018 non passerà purtroppo alla storia per l’exploit di qualche nazionale africana: tutte le selezioni del continente hanno chiuso infatti la loro avventura iridata al primo turno, nella fase a gironi. C’è chi, per diversi motivi e circostanze sfortunate, ha deluso, come l’Egitto, e c’è chi come Marocco e Tunisia è uscito a testa alta raccogliendo meno di quanto avrebbe meritato. C’è chi ha sognato fino a pochi minuti dal termine dell’ultima sfida di avanzare eliminando addirittura l’Argentina di Leo Messi, come la Nigeria. E infine c’è chi questo sogno lo ha cullato fino oltre al novantesimo, il Senegal, che in perfetta parità di rendimento con il Giappone è stato eliminato in modo beffardo (e discutibile) dalla appena introdotta discriminante del fair play: due cartellini gialli di troppo hanno condannato i Leoni della Teranga a dire addio ad un cammino tutto corsa e balli che stava ricordando quello indimenticabile del 2002.
Se dentro il campo le soddisfazioni sono state inferiori alle aspettative, sugli spalti i tifosi africani si sono però distinti per il tifo caldissimo (tantissimi i nordafricani giunti in Russia a sostegno delle loro squadre), per il folklore e il colore trascinanti, ormai una felice consuetudine, e anche per piccoli grandi gesti che non sono passati inosservati all’attenzione mondiale, come pulire la propria porzione di tribuna dalla sporcizia al termine di un incontro. Personaggi con copricapi e abiti tradizionali del Maghreb, corpi dipinti coi colori delle bandiere, ritmi sfrenati e maschere da faraone resteranno tra le istantanee più belle di questo Mondiale.
Eppure, a modo suo, un pochino di Africa in finale a Mosca ci sarà a prescindere dalle contendenti, e con questa pure un pregevole esempio di genio e arte italiana. Ait Siti Ahmed Abdelkader è nato 54 anni fa ad Ouarzazate, dove i monti dell’Atlante incontrano il deserto, nel cuore del Marocco. Questo sorridente «africano bianco» (come ama definirsi divertito) lavora da sedici anni presso la Gde Bertoni di Paderno Dugnano, alle porte di Milano, di cui è ormai il veterano del reparto galvanico e il secondo operaio specializzato per anzianità. In questa storica azienda a conduzione famigliare, che dalla bottega originaria nel cuore della città si è spostata nel corso degli anni in un’anonima zona industriale dell’hinterland, lui ed i colleghi italiani danno letteralmente vita ai sogni di ogni sportivo. È qui che nasce la Fifa World Cup.
Alla Bertoni vengono forgiati alcuni dei più prestigiosi trofei e riconoscimenti: medaglie e collari olimpici, la Uefa Europa League, la Uefa Supercup e la Uefa Champions League, insieme a mille altre creazioni commissionate dalle federazioni dei più vari sport di ogni continente. Nessuna però affascina e stupisce come il gioiello ideato dallo scultore Silvio Gazzaniga nel 1970, e selezionato dalla FIFA tra 53 proposte per la coppa che avrebbe dal Mondiale successivo sostituito la Coppa Jules Rimet, definitivamente assegnata al Brasile di Pelé al termine dell’edizione messicana, come previsto dal regolamento, al conseguimento della sua terza vittoria.
«La Coppa del Mondo è diversa dalle altre. Qui facciamo un sacco di cose: Africa, Golfo, America, coppe europee, ma questa ha un effetto eccezionale, diverso da tutte le altre coppe. Lei è unica. È speciale.»
Kader, come qui lo chiamano tutti affettuosamente, non ha dubbi. L’emozione del veder nascere questa coppa, in cui sono raffigurati due atleti esultanti con le braccia al cielo che sorreggono il mondo intero, non ha eguali. «La sogna ogni bambino, come la sogna qualsiasi grande campione. Forse per questo è così speciale, perché davanti a lei siamo tutti bambini con gli occhi che brillano».
E brillano ancora gli occhi degli operai al lavoro, nonostante sia per loro ormai una piacevole abitudine, ogni quattro anni, restaurare l’originale in oro di proprietà della Fifa e creare la copia ufficiale, in ottone dorato, che verrà effettivamente consegnata alla federazione vincitrice del torneo. Un lavoro che parte in Bertoni dai bozzetti in gesso di Gazzaniga, scomparso due anni fa a 95 anni, e che in Bertoni torna appena dopo la fusione dell’ottone in fonderia. Qui le sapienti mani di esperti artigiani sgrezzano la sua forma, rifinendola e lucidandola in maniera progressivamente più raffinata, prima di avviare il percorso dei bagni galvanici per la pulizia ad ultrasuoni, i diversi risciacqui in acqua distillata ed il processo di doratura.
Questo è il regno di Kader, che una volta ultimati i bagni galvanici ed il successivo risciacquo finale si occupa di asciugare la coppa manualmente e poi in forno, ultimando il montaggio della base con doppia fascia di marmo malachite verde e sottoponendola infine allo spray protettivo, per una conservazione ed una brillantezza impeccabile. Poco oltre, prendono vita anche tutte le medaglie Fifa che finiranno al collo dei finalisti, a tracciare una volta di più lo spietato confine tra gli sconfitti ed i nuovi campioni.
Ma il tempo per godersi tali creazioni è sempre poco e non c’è modo di coccolarle a lungo: una volta archiviata la preparazione di Coppa e medaglie, queste partono rapidamente per la sede di Zurigo e in azienda si volta pagina. Il lavoro è molto e impegnativo, e le scadenze fitte. Nessun sonno sugli allori, per chi gli allori li realizza.
Lavorando a così stretto contatto con i più ambìti trofei, pronostici e considerazioni sulle partite trovano quotidianamente spazio: «Sono davvero dispiaciuto per il Senegal, meritavano di passare – afferma – mentre l’Egitto ha risentito tantissimo a livello mentale dell’infortunio di Mohammed Salah. Chissà che Mondiale avrebbe potuto essere con l’attaccante in perfetta forma…». Salah che, da calciatore rivelazione della stagione di club, Kader si augura di vedere presto alzare il Pallone d’Oro: ventitrè anni dopo George Weah, tutta l’Africa confida unita nel giocatore simbolo di questa generazione.
Un peccato che tutte le africane siano andate fuori subito. Per chi si tifa ora dunque?
«Molti miei amici tiferanno Francia e Belgio, che hanno praticamente metà squadra di origine africana e tanti giocatori marocchini. Io però vado controcorrente, mi piacerebbe se vincesse la Croazia. Sono sempre stato per le squadre più piccole!» sorride. Un rapido commento sulle Green Eagles capaci di far tremare a lungo l’albiceleste, e si chiude col suo Marocco. «Li davo per spacciati alla vigilia, nel girone con Spagna e Portogallo» dice «invece di ritorno al Mondiale dopo vent’anni hanno fatto un’ottima figura. Peccato aver perso la prima al 90° per un autogol. Poi tanta sfortuna e qualche decisione arbitrale così così, ma grandi prestazioni contro avversari fortissimi; il gruppo ha dimostrato il suo valore e questo ci fa ben sperare».
Grande fiducia dunque per la futura Coppa d’Africa, un altro dei tantissimi trofei realizzati qui, e per la prossima Coppa del Mondo in programma in Qatar. In fondo mancano nemmeno 4 anni…
Nella galleria fotografica le diverse fasi di lavorazione della Coppa del Mondo © Paolo Vezzoli