Un anno fa una escalation di tensioni ha portato a una rottura del cessate il fuoco tra le forze indipendentiste del Sahara Occidentale e il Marocco. A un anno dal 13 novembre 2020, cosa si sa della situazione sul terreno? La rivista Africa lo ha chiesto a Giuseppe Dentice responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.Si – Centro Studi Internazionali, con il quale ha parlato di diversi aspetti della questione del Sahara Occidentale.
Dentice, qual è la situazione al momento?
“Un anno dopo, la situazione rimane tesa e le informazioni a disposizione di analisti e osservatori esterni sono molto poche in virtù dell’assenza di fonti sul terreno indipendenti, ma soprattutto a causa della propaganda incrociata prodotta in maniera vorticosa da Marocco e Algeria per giustificare, rilanciare o semplicemente dare rilevanza a date situazioni. Il punto è che ad oltre un anno dalla ripresa delle violenze dopo la rottura della tregua del novembre scorso, dopo i fatti di Guerguerat, l’escalation è stata veemente e si segnalano situazioni differenti che contrappongono però in particolar modo il fronte politico che supporta o combatte il Polisario, ossia Marocco e Algeria che hanno vissuto nel corso dell’ultimo biennio un peggioramento delle relazioni diplomatiche, tanto da giungere ad una rottura piena nell’agosto di quest’anno. Condizione, questa, aggravata non solo dalle politiche marocchine ma anche dal contesto internazionale, a causa della scelta degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità territoriale di Rabat sull’intero Sahara Occidentale e, parallelamente, dal mutuo riconoscimento tra il Regno nordafricano e Israele. Tutti elementi necessari per far sì che il Marocco entrasse nel quadro dei cosiddetti “Accordi di Abramo”, mentre l’Algeria irrigidisse le sue posizioni nei confronti di Rabat e aumentasse il supporto diretto al Fronte Polisario. È in questo contesto, dunque, che si sviluppa la nuova fase di tensioni nel Sahara Occidentale”.
Alle tensioni di ordine “diplomatico” si aggiungono scontri armati? Il braccio armato della Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd) comunica regolarmente di compiere attacchi contro le posizioni marocchine lungo il muro di separazione, mentre Rabat mantiene il silenzio. Cosa succede davvero? C’è modo di saperlo? Esiste una fonte indipendente sul posto? La Minurso? Proprio la Minurso ha visto pochi giorni fa il suo mandato prorogato ma dopo 30 anni, a cosa serve ormai questa missione, cosa fa realmente?
“Come detto in precedenza è difficile stabilire con accuratezza la realtà dei fatti anche perché Marocco, Algeria e Rasd sono tra i maggiori promotori di una narrazione enfatizzata e partigiana di molti degli accadimenti recenti, tanto da portare il livello dello scontro da un piano puramente armato ad uno parallelo propagandistico. Vi sono vari esempi che ci aiutano a comprendere questo aspetto. Pensiamo soltanto all’ultimo evento, l’uccisione dei tre camionisti algerini che percorrevano la strada tra Ouargla e Nouakchott e che sarebbero stati oggetto di bombardamento da parte delle forze marocchine. La notizia è stata diffusa dalla Presidenza della Repubblica algerina, ma ciò non ha trovato riscontro in Marocco, né tanto meno nella missione Onu della Minurso. Le chiavi di lettura possono essere molteplici, ma è innegabile che la stessa Minurso cerchi di tenersi fuori dalla diatriba politica puntando invece a osservare strettamente i dettami di interposizione e monitoraggio del cessate il fuoco che ormai è stato rotto. In questa ottica è davvero difficile pensare che la Minurso possa intervenire direttamente nelle dinamiche incancrenite in modo differente rispetto al suo scopo originario. È più verosimile che la missione internazionale punti a favorire una de-escalation su aree limitate e ove possibile. Ma queste sono ipotesi e ragionamenti che potrebbero non trovare riscontri sul campo in virtù dei limiti evidenziati”.
Il recente dibattito all’Onu sulla questione del Sahara Occidentale è stato teso e la risoluzione adottata ha suscitato aspre critiche dal fronte filo-sahrawi, può spiegarci? Quali grandi potenze internazionali appoggiano davvero la causa sahrawi?
“Il dibattito rimane teso perché soprattutto il fronte pro-sahrawi è oggi molto assottigliato e legato essenzialmente alla posizione dell’Algeria che sfrutta questo elemento per evitare l’isolamento internazionale. Benché la causa trovi simpatie politiche e ideologiche soprattutto nel contesto africano, allo stato attuale nessun attore internazionale ad eccezione di Algeri punta ad assumere posizioni nette pro o contro la questione sahrawi. Nell’ottica algerina, quindi, il sostegno al Polisario è fondamentale e necessario per ribadire le sue posizioni anti-colonialiste e anti-imperialiste tipiche della sua storia che portano il più grande Paese africano a empatizzare verso la causa sahrawi, oltre che a strumentalizzarla per i suoi interessi politici e geopolitici, al pari di quanto faccia anche il Marocco. Da questo punto di vista, come abbiamo scritto nei giorni scorsi sul sito del Centro Studi Internazionali (CeSI), è difficile immaginare però che l’Algeria possa scegliere la strada del confronto militare aperto contro il Marocco, non fosse altro per la scarsità potenziale di attori esterni da coinvolgere (Turchia e Russia al massimo e con chiari interessi anti-francesi) e per i rischi che una fase di conflitto con il Marocco potrebbe produrre anche nello scenario domestico algerino. Pertanto la situazione rimane di tensione volutamente controllata da ambo le parti, al fine di impedire escalation impreviste e ingestibili. Al di là di ciò, però, la posizione internazionale Onu rimane debole e legata alla tradizionale volontà di rilanciare il compromesso politico con il Marocco. Il punto è che manca una chiara convergenza internazionale verso questo approccio per i motivi e gli interessi geopolitici prima evidenziati”.
Cosa si sa della situazione dei campi sahrawi? I servizi, l’economia… È davvero ancora forte il desiderio della popolazione di lottare per l’indipendenza dei territori sahrawi?
“Anche in questo caso si sa ben poco. I report internazionali scarseggiano o sono troppo “vecchi” rispetto alle presenze di osservatori indipendenti. Di fatto le uniche notizie affidabili sono quelle che ci giungono dalle Nazioni Unite per mezzo della Minurso o delle agenzie internazionali legate comunque al mondo Onu ivi presenti. Ad oggi si sa che la popolazione locale nei campi soffre una grave crisi sanitaria e alimentare, in parte acuita dalla comparsa del fattore covid-19 che, come altrove, sconta una difficoltà negli approvvigionamenti, contribuendo quindi a dare nuovi elementi di instabilità umanitaria al contesto. Quel che allarma di più è però la precaria condizione alimentare dei sahrawi, acuita dagli effetti dei cambiamenti climatici (siccità e temperature calde oltre la media) e dal blocco alla mobilità che ha provocato un calo delle rimesse dall’estero (in particolare dalla Spagna dove esiste una importante comunità al di fuori del continente africano). In questo contesto, le diverse agenzie internazionali coinvolte nell’area (Programma Alimentare Mondiale e Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, su tutti) hanno lanciato un allarme sul drastico calo delle razioni alimentari a disposizione delle comunità e la necessità di nuove donazioni dall’estero”.
Il leader del Polisario e della Rasd, Brajhm Ghali, è diventato anziano e ha una salute fragile, prepara la propria successione? Quanto è ancora forte e strutturato il movimento? Esiste una parte dei sahrawi che preferirebbe essere sotto tutela del Marocco, per motivi di sviluppo?
“Le condizioni di salute di Ghali sono motivo indubbiamente di apprensione, oltre che strumentalizzazione politica come ci ha insegnato la recente escalation diplomatica tra Spagna e Marocco dell’aprile-maggio 2021 a causa dell’ospedalizzazione a Logroño dell’anziano leader sahrawi, ufficialmente per motivi umanitari. Al momento è difficile pensare a possibili successori, così com’è molto complicato individuare leader alternativi ad una figura di spicco e molto seguita all’interno del mondo sahrawi. Sicuramente la morte del capo della polizia del Fronte Polisario, Addah al-Bendir, morto in circostanze ancora poco chiare nell’aprile 2021, ha portato il movimento a trovarsi privo di un importante leader che era molto vicino a Ghali. Quindi in questo senso non si può parlare di una vera e propria decapitazione, ma è evidente che sia stato inferto un duro colpo da parte del Marocco ai propri avversari storici. Al di là di possibili ipotesi presenti e future, quel che si può asserire è che la popolazione sembra essere ancora compatta dietro la bandiera e la causa sahrawi e che difficilmente, al netto delle difficoltà oggi esistenti, sarà disposta a cedere o ad abbandonare i propri propositi indipendentisti”.
L’immagine dello sviluppo in cammino che sta divulgando Rabat per le province meridionali (il Sahara Occidentale) è reale? O si tratta di territori ancora troppo marginalizzati? L’escalation di tensione regionale a cui si assiste è dovuta al nodo del Sahara Occidentale? O al contrario, il Sahara Occidentale viene strumentalizzato nella lotta per il dominio geopolitico fra le potenze della regione? Perché l’Algeria è così tanto coinvolta a fianco del Polisario?
“Come in parte accennato all’inizio della nostra discussione, la questione odierna sul Sahara Occidentale rientra in dinamiche politiche, economiche e strategiche afferenti interessi e ambizioni differenti degli attori coinvolti. È innegabile che Marocco e Algeria vedano nel Sahara Occidentale e nella questione ad essa annessa un importante fattore geopolitico in grado di definire in positivo o in negativo le rispettive sorti in materia di politica estera continentale. Entrambi trovano nel territorio sahrawi una porta di accesso verso l’Africa saheliana e, più in generale, occidentale. Di fatto attraverso un controllo diretto del Sahara Occidentale, Rabat potrebbe rafforzare la sua politica africana e rilanciare le proprie ambizioni economiche e geopolitiche nell’intero versante occidentale africano. Parimenti, per Algeri è importante mantenere il Marocco in una posizione “difensiva” rispetto alla questione sahrawi al fine di poter incidere in più dinamiche contemporanee e rilanciare le proprie ambizioni verso una profondità strategica africana. Di fatto entrambi gli attori usano la questione sahrawi per ricercare e salvare i propri obiettivi e interessi. Ovviamente alla base di ciò vi sono ragioni economiche e strategiche: in primis vi è una chiara volontà di Rabat e Algeri di costruire importanti infrastrutture energetiche che colleghino i rispettivi Paesi con la Nigeria; in secondo luogo, vi è un chiaro intento di penetrare i mercati africani per aprirsi a nuovi business e opportunità. In questo senso vi è un interesse chiaro a usare l’energia e la possibilità di nuovi mercati come strumenti di influenza per intercettare interessi multidimensionali e definire posizioni di forza nell’intero quadrante africano occidentale. Ecco perché la questione sahrawi è così importante, al di là dell’ideologia, per Marocco e Algeria”.
(Intervista a cura di Céline Camoin)