Le armi tornano a sparare nel Sahara occidentale. Dopo 29 anni dal cessate-il-fuoco tra Marocco e Fronte Polisario, la tregua armata si è rotta. Nella notte tra giovedì e venerdì, le forze armate marocchine hanno forzato il blocco nella zona cuscinetto del Guerguarat, nel Sahara occidentale al confine con la Mauritania, scatenando la reazione dei militanti saharawi che stavano protestando per denunciare l’occupazione militare della propria terra da parte del Regno di Mohamed VI, la violazione dei diritti umani e lo sfruttamento delle proprie risorse economiche. I saharawi avevano formato un cordone di mezzi e persone per bloccare il flusso di merci come segno di protesta contro la violazione degli accordi sui territori contesi.
Le forze armate marocchine, come riportato da un comunicato dello stato maggiore, «in seguito al blocco, da parte di una sessantina di persone inquadrate, da miliziani armati del Polisario, nell’asse stradale che attraversa la zona cuscinetto di Guerguarate che collega il Marocco e la Mauritania, e al divieto del diritto di passaggio, i soldati marocchini hanno istituito un cordone di sicurezza per rendere sicuro il flusso di circolazione di beni e di persone attraverso questo asse». Sempre lo stato maggiore ha aggiunto: «Questa operazione non offensiva e senza alcuna intenzione bellicosa si è svolta secondo regole di responsabilità chiare, che prescrivono di evitare contatti con persone civili e di ricorrere all’uso delle armi solo in caso di legittima difesa».
Dalla sua parte il ministro degli Affari esteri del Marocco, Nasser Bourita, ha annunciato che «di fronte alle gravi e inaccettabili provocazioni subite dalle milizie del Polisario nella zona tampone di Guergarate nel Sahara marocchino, il Marocco ha deciso di agire, nel rispetto delle sue attribuzioni, in virtù dei suoi doveri e in piena conformità con la legalità internazionale».
A nulla è valsa la presenza dei caschi blu della Missione di pace delle Nazioni Unite: la situazione si era già esacerbata a causa dell’ennesimo rinvio del referendum per l’autodeterminazione del Sahara occidentale. La tensione nei territori desertici è inevitabilmente trascesa in uno scontro armato.
Dal Palazzo di vetro a New York ha parlato il segretario generale Antonio Guterres che oltre a esprimere rammarico per l’escalation militare ha assicurato il suo personale impegno a fare tutto il possibile per ripristinare il cessate-il-fuoco. A Guterres si era rivolto nell’immediatezza degli scontri il presidente della Rasd e segretario generale del Fronte Polisario, Brahim Ghali, con una lettera urgente indirizzata anche alla presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell’Onu per «informare delle implicazioni dell’attacco delle forze marocchine nei confronti di civili saharawi disarmati che stavano manifestando pacificamente». Il fronte Polisario ha inoltre dichiarato che «la guerra è iniziata e il Marocco ha liquidato il cessate il fuoco» del 1991. «È un’aggressione. Le truppe saharawi si trovano in una situazione di autodifesa e rispondono alle truppe marocchine», ha detto Mohamed Salem Ould Salek, del Fronte Polisario.
Secondo il portavoce delle Nazioni Unite negli ultimi giorni non sono mancate iniziative per prevenire gli scontri nella zona cuscinetto di Guerguarat e «per mettere in guardia contro le violazioni del cessate-il-fuoco e le gravi conseguenze per qualsiasi cambiamento allo status quo». Ma tutto è stato vano.
La crisi nel Sahara occidentale nasce nel 1975 con il ritiro della Spagna dalla regione. Nell’abbandonare il Sahara occidentale, Madrid ha ceduto i territori al Marocco e alla Mauritania. Di fronte a questa intesa, migliaia di rifugiati saharawi intraprendono l’esodo verso la frontiera algerina sotto la pressione dell’esercito marocchino cui si oppone la resistenza armata del Fronte Polisario che, il 27 febbraio 1976, proclama la Repubblica Araba Saharawi Democratica. La Rasd, in esilio, diventerà in seguito membro dell’Unità africana ed è tuttora riconosciuta da un’ottantina di Paesi nel mondo.
Da quel momento la popolazione saharawi vive divisa, in parte nei campi di rifugiati in Algeria e in parte nel Sahara occidentale sotto il dominio del Marocco, dopo che la Mauritania nel 1979 si ritira dal conflitto.
Tra il 1980 e il 1987 il Marocco ha creato una serie di muri difensivi, dapprima per circoscrivere le zone economicamente più importanti (la miniera di fosfati di Fos Bucraa e il terminale di al-Aiun), poi per saldare tra loro i diversi baluardi difensivi fino a formare un unico muro, lungo oltre 2.000 km, che attraversa e divide il Paese da Nord a Sud (ed è la zona più minata al mondo).
Sul piano militare si è creata una situazione di stallo che favorisce la mediazione dell’Onu e la conclusione di un accordo (30 agosto 1988) tra Polisario e Marocco. Nel 1990 viene tradotto nel piano di pace approvato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e, dopo quindici anni di conflitto, nel 1991 Marocco e Fronte Polisario sottoscrivono un accordo per lo svolgimento di un referendum di autodeterminazione. Referendum che non si è mai tenuto.
(Enrico Casale)