di Céline Camoin
La grande riserva naturale protetta chiamata W, situata al confine tra Niger, Benin e Burkina Faso, è diventata dal 2020 quartier generale dei gruppi jihadisti. Lo ricorda l’analista dell’International crisis group (Icg), il vicedirettore responsabile della zona Sahel, Ibrahim Yahayalb, in un servizio di qualche settimana fa ripubblicato su X a seguito dell’attacco letale a militari del Benin in una porzione del parco, la riserva Pendjari, che ha fatto almeno sette morti.
L’analista sottolinea che il parto W è il punto d’ingresso più importante trovato ad oggi per la progressione, dalle aree saheliane verso sud, dei gruppi jihadisti. “Hanno approfittato di una situazione deleteria attorno al parco per vari motivi: innanzitutto, la creazione stessa di questo parco è sempre stata motivo di controversie. Alcune comunità espulse nutrono un forte risentimento. All’inizio del ’900, quando le autorità coloniali francesi crearono il parco, le popolazioni hanno continuato a pensare che il parco era loro e che era stato spogliato. È anche uno spazio soggetto a contese negli ultimi anni, perché le terre coltivabili continuano a rarificarsi, e il parco ha molte potenzialità per l’agricoltura e l’allevamento. Il parco è diventato un’isola verde nel mezzo di spazi degradati a causa dello sfruttamento a oltranza e dei cambiamenti climatici”, spiega l’esperto.
Per gli allevatori, in un certo periodo dell’anno, è solo all’interno della riserva che si può avere accesso ai pascoli e all’acqua. I jihadisti hanno lasciato le porte aperte agli allevatori per l’accesso al parco, fattore che ha portato a una collaborazione tra i gruppi armati e i pastori nomadi.
“A causa di questa contesa attorno al parco, si sono sviluppati conflitti intercomunitari, ma anche un aumento del banditismo che ha spinto le comunità locali a creare milizie locali di autodifesa. Questi conflitti hanno causato una proliferazione di armi attorno al parco. Tutti questi fattori hanno facilitato l’insediamento dei jihadisti.
Il parco è diventato il santuario dei jihadisti e l’area che serve per preparare l’espansione verso altre zone. “La loro presenza ha conseguenze disastrose sull’ambiente”, denuncia Ibrahim Yahayalb. A causa della loro presenza e della politica di porte aperte al bestiame degli allevatori, tutti i progressi in termini di protezione dell’ambiente stanno svanendo.
Le conseguenze della presenza dei jihadisti sono anche disastrose per le comunità limitrofe. Stanno cercando di imporre un codice di condotta alle donne, agli uomini, alle donne viene impedito andare al mercato, regole di abbigliamento, e spesso usano la violenza fisica per imporre il codice di condotta.
Nella zona sono presenti sia comunità cristiane che animiste, alle quali i jihadisti hanno imposto restrizioni.
Le autorità dei tre Paesi hanno cercato di rispondere alla presenza jihadista attraverso vari meccanismi. Cercano di accrescere la presenza militare attorno al parco, di riformare o aumentare l’impegno nel processo di conservazione della natura, gestire la pressione sulla gestione delle risorse attorno al parco, cercando di limitare il conflitto tra agricoltori e allevatori, sforzi di dialogo sono stati fatti, ma con pochissimi risultati. L’attacco ai militari beninesi ne è la prova.
“Attualmente – afferma l’analista dell’Icg – nulla è possibile all’interno del parco a causa dell’occupazione jihadista. L’azione militare è necessaria ma deve essere accompagnata dal dialogo. Tuttavia mettere in sicurezza il parco non risolverà l’intero problema. A lungo termine potrebbe essere necessario avviare un processo di sedentarizzazione delle comunità nomadi. L’Icg ritiene che declassificare una parte del parco per renderlo accessibile agli allevatori, sarebbe utile per colmare i bisogni urgenti in risorse naturali di questi allevatori, così come quelli degli agricoltori”.