Sahel: terrorismo, 2021 un anno pesante

di Enrico Casale

I primi sei mesi del 2021 lasciano presagire che quest’anno sarà letale almeno quanto il 2020 nella regione del Sahel a causa degli attacchi terroristici in Burkina Faso, Mali e Niger. Lo ritiene l’Acled (Armed Conflict Location & Event Data Project) organizzazione senza scopo di lucro con sede negli Usa), impegnata nella raccolta, analisi e mappatura di dati disaggregati delle crisi in varie parti del mondo.

“In Burkina Faso, il conflitto ha raggiunto livelli record a maggio e giugno, con i due attacchi più mortali mai registrati nel Paese. Gli attacchi hanno preso di mira, rispettivamente, i civili e la polizia burkinabé e sono avvenuti a Solhan e Bilibalogo”, ricorda l’Acled nel rapporto intitolato “10 conflitcts to worry about in 2021” pubblicato il 5 agosto, poco prima dell’ennesima imboscata mortale tesa ieri a un convoglio di forze di sicurezza. L’escalation in Burkina Faso, sottolinea Acled, segue il crollo di un fragile cessate il fuoco tra le forze statali e il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim/Jnim), in vigore per la maggior parte del 2020. Nel Burkina Faso orientale, i combattenti affiliati al Gsim hanno anche esercitato pressioni e isolato le comunità in diverse piccole città e villaggi (come Mansila, Tankoualou, Tanwalbougou, Kpenchangou e Madjoari) imponendo embarghi che impediscono la circolazione e il commercio.

“Il costante deterioramento della situazione della sicurezza in Burkina Faso ha portato a disordini diffusi”, si legge ancora nel rapporto. A giugno, migliaia di persone hanno manifestato nelle città di Dori, Titao e Kaya. All’inizio di luglio sono seguite manifestazioni diffuse, guidate dall’opposizione politica, con la richiesta di una maggiore sicurezza per la popolazione e di un sostegno adeguato alle Forze di difesa e sicurezza e ai volontari per la difesa della patria. Sebbene le forze armate burkinabé abbiano intensificato gli sforzi attraverso numerose operazioni militari in tutto il Paese, “non hanno sufficientemente indebolito le capacità dei gruppi jihadisti. La natura in gran parte reattiva e transitoria delle loro operazioni le rende prevedibili, causando quindi solo interruzioni molto temporanee”, scrive Acled.

In Mali, come in Burkina Faso, il conflitto ha raggiunto livelli quasi record tra aprile e giugno 2021. Lo sconvolgimento politico seguito a un secondo colpo di Stato a guida militare nel maggio 2021, nove mesi dopo un precedente colpo di stato nell’agosto 2020, ha fatto ben poco per alleviare la precaria posizione del Mali come epicentro del conflitto regionale. “Piuttosto, ha messo a dura prova le relazioni con il principale partner militare del Mali”, si legge ancora. La Francia, che sta guidando l’alleanza militare contro i gruppi jihadisti nel Sahel, ha sospeso le sue operazioni militari congiunte con le forze maliane per un mese, ma la sospensione “ha evidenziato la posizione sempre più problematica della Francia nel sostenere regimi controversi e antidemocratici”.

Acld ricorda che sia il Mali che il Burkina Faso hanno avviato negoziati con gruppi jihadisti con vari gradi di coinvolgimento dello Stato e “con scarso successo”. In Mali, ad esempio, il ministero della Riconciliazione nazionale ha incaricato una delegazione dell’Alto Consiglio islamico del Mali di facilitare i colloqui a Farabougou. Nel frattempo, in Burkina Faso, l’Intelligence ha negoziato con il Gsim. Molti accordi, tuttavia, sono stati negoziati direttamente tra le comunità locali e i militanti del gruppo affiliato ad al-Qaeda. In un rapporto del giugno 2021, Acled ha valutato la fragilità e la difficoltà di sostenere questi accordi locali. Uno di questi accordi di cessate il fuoco a Farabougou – entrato in vigore nell’aprile 2021 dopo un embargo di sei mesi da parte dei militanti di Katiba Macina, che fanno parte del Gsim è stato revocato dal gruppo all’inizio di luglio. Le ostilità tra i militanti della Katiba Macina e i cacciatori di Bambara stanno ora rapidamente riprendendo. La tattica dell’embargo è parte integrante della strategia jihadista e, come nel Burkina Faso orientale, i militanti del Mali usano questa tattica anche in altri luoghi, come Dinangourou, Mondoro, Petaka e Bandiagara.

Il rapporto non manca di ricordare che la morte del presidente ciadiano Idriss Deby Itno, un partner strategico della Francia, ha ulteriormente indebolito l’alleanza per combattere la militanza jihadista nel Sahel. La Francia ha inoltre annunciato, il 10 giugno, la fine dell’operazione Barkhane, in atto dall’agosto 2014, insieme al graduale ritiro delle truppe di stanza nel Sahel e alla chiusura delle basi nel nord del Mali. La decisione “fa parte di una trasformazione degli sforzi francesi nel Sahel volti a costruire una coalizione più ampia con una maggiore condivisione degli oneri con altri paesi europei come parte della Task Force Takuba. Nel frattempo, stanno cercando maggiore sostegno e cooperazione con gli Stati Uniti, poiché i due Paesi hanno firmato un nuovo accordo che consentirà agli operatori speciali francesi e americani di lavorare più strettamente nelle operazioni antiterrorismo in Africa “.

Un’altra dimensione è la “sahelizzazione” dello sforzo più ampio, in cui gli Stati del Sahel si assumono maggiori responsabilità per la propria sicurezza. A giugno, una serie di operazioni congiunte simultanee sono state condotte su vasti territori in Burkina Faso, Mali e Niger con un livello di coordinamento senza precedenti, coinvolgendo truppe del Burkina Faso, del Ciad, della Francia, del Mali, del Niger e della Costa d’Avorio. Queste operazioni potrebbero essere viste come un test di una dinamica emergente di “sahelizzazione”. Tuttavia, scrivono i ricercatori di Acled, è lecito chiedersi se le forze statali locali saranno in grado di mantenere un livello sufficiente di coordinamento e di sostenere questo tipo di operazioni a lungo termine, date le sfide logistiche e la mancanza di capacità di intelligence e di aeromobili critici.

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