San Valentino: una rosa su quattro è africana

di AFRICA
San Valentino: una rosa su quattro è africana

di Valentina Giulia Milani

 

San Valentino: una rosa su quattro è africanaUn tempo l’Etiopia esportava solo caffè e pellame. Oggi la coltivazione dei fiori recisi è diventata una voce importante dell’economia. Ma i veri affari li fanno i colossi stranieri che producono i boccioli

Solo nel giorno di San Valentino in Italia saranno venduti almeno 12 milioni di fiori. Le rose saranno protagoniste assolute della festa degli innamorati. E una su quattro proverrà dall’Africa. Un tempo il business dei boccioli era saldamente gestito da Cina, India, Giappone e Paesi Bassi. Ma già negli anni Novanta del secolo scorso Kenya e Sudafrica si sono inseriti nel florido mercato degli omaggi floreali. Più di recente, anche Ruanda, Tanzania e Uganda hanno tentato l’avventura dei fiori. Non sempre i risultati hanno soddisfatto le attese.

In Etiopia, invece, è sbocciato un vero e proprio boom di piantagioni che stanno generando profitti mai visti prima. Nell’arco di quindici anni Addis Abeba è diventata leader nella floricoltura africana, quinta nella graduatoria mondiale. L’export dei fiori è oramai la terza fonte di valuta, dopo il caffè e il pellame. Oggi il settore in Etiopia genera un volume di affari pari a 131 milioni di euro. Ma è in costante crescita (+12% negli ultimi cinque anni) ed entro la fine del 2016 arriverà a 250 milioni. Non solo grazie alle rose, ma anche ai crisantemi e ai gerani.

L’altopiano etiopico offre condizioni ambientali ideali per la loro coltivazione: clima fresco e soleggiato, terreno fertile, altitudine compresa tra i 1.500 e i 2.300 metri, ampia disponibilità di risorse idriche grazie alla presenza di fiumi e laghi (un metro quadro di un vivaio necessita di almeno sette litri di acqua al giorno). Le piantagioni intensive di fiori coprono circa 13.000 ettari, ma secondo l’EHPEA (Ethiopian Horticulture Producer Exporters Association), l’Etiopia vanta ben cinque milioni di ettari di territorio coltivabili.

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NEL NOME DELLA ROSA

Il governo di Addis Abeba sta incoraggiando gli investimenti stranieri nel settore: niente tasse per i primi cinque anni di attività, zero dazi doganali sia per importare infrastrutture che per esportare il prodotto finale, prezzi irrisori per l’affitto delle terre, prestiti bancari concessi a condizioni vantaggiose. A tutto ciò si aggiunge un ulteriore incentivo: l’ampia disponibilità di manodopera a bassissimo costo.

Oggi nelle serre etiopiche sono impiegate oltre 180mila persone. La paga giornaliera degli addetti alle produzione ammonta a 60 centesimi di euro: il minimo previsto dalla legge. I sindacati, inoltre, denunciano la carenza di tutele sanitarie per i dipendenti. Ma le autorità di Addis Abeba assicurano di vigilare sull’operato delle società straniere che coltivano le rose… Ben sapendo che gli investitori resteranno in Etiopia fino a quando potranno contenere i costi di produzione.

L’80 dei boccioli etiopici viene esportato nei Paesi Bassi, e da qui viene smistato in tutta Europa, Italia compresa; la restante parte finisce in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giappone e Stati Uniti. Dopo essere state recise e selezionate, le rose vengono liberate dalle spine e tagliate alla lunghezza standard. Poi vengono essere caricate su camion e aerei dotati di celle frigorifere che fanno arrivare a destinazione il prodotto ancora fresco, nell’arco di massimo venti ore.

A San Valentino, supermercati e fioristi di tutto il mondo venderanno le rose ad un prezzo medio di cinque euro (sette dollari) a bocciolo: un bracciante etiopico impiegherebbe almeno dieci giorni di lavoro per potersene comprare una.

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