Sassou Nguesso e quel vizietto del terzo mandato

di Enrico Casale
sassou nguesso

Sassou NGuessoIn Africa rischia di esplodere un’altra crisi politica. Come in Burundi, Repubblica Democratica del Congo e Ruanda (e, prima ancora, in Burkina Faso), anche in Congo Brazzaville, il Presidente Denis Sassou-Nguesso non ha intenzione di lasciare lo scettro del comando e, nonostante la Costituzione vieti una sua terza ricandidatura, ha annunciato di volersi ripresentare alle prossime elezioni. E, proprio per eliminare sul nascere ogni ostacolo, ha deciso che, prima della tornata elettorale, dovrà tenersi un referendum per cambiare la Carta fondamentale. Il referendum, che è previsto per domenica 25 ottobre, dovrà avallare la legge di riforma costituzionale che prevede una riduzione del periodo del mandato da sette a cinque anni e l’eliminazione del limite massimo di età dei candidati (attualmente fissato a 70 anni). Se dalle urne verrà il via libera alla riforma, il 72enne capo dello Stato avrebbe le credenziali per concorrere per un nuovo mandato alle elezioni presidenziali in programma nel 2016. Sassou Nguesso, già Presidente tra 1979 e 1992, è tornato a occupare la carica dopo un intervallo di cinque anni, nel 1997. In base alla Costituzione varata nel 2002 è stato poi rieletto nel 2002 e nel 2009

Le opposizioni hanno definito il referendum un «colpo di Stato costituzionale» e hanno organizzato una serie di manifestazioni alle quali il regime ha risposto duramente. La scorsa settimana sei giovani attivisti dell’opposizione sono stati arrestati dopo una manifestazione. Le associazioni alle quali appartenevano hanno definito «arbitrari» gli arresti. Domenica scorsa, quattro esponenti dell’opposizione sono poi stati fermati dalle autorità a Pointe-Noire, nell’area Ovest della Repubblica del Congo, per poi essere rilasciati e fare ritorno a Brazzaville. I quattro esponenti avevano partecipato sabato a una manifestazione organizzata per protestare contro il referendum.

Nei quartieri di Brazzaville abitati dagli esponenti dell’opposizione è poi stato schierato un forte contingente di polizia e gendarmeria e sono state bloccate tutte le comunicazioni via Internet. Il Governo ha poi vietato le riunioni pubbliche. «Al fine di consentire la campagna elettorale senza danni o provocazioni», si è giustificato Raymond Zephyrin Mboulou, ministro della Comunicazione. Nonostante questo ieri sono scese in piazza centinaia di persone. E la polizia ha sparato, facendo otto feriti.

In Congo potrebbe ripetersi il triste copione che è già stato messo in scena troppe volte in Africa. La classe politica fatica ad accettare il ricambio e forza le regole per mantenere il potere. Il rischio è che, anche in Congo, la crisi politica si trasformi in uno scontro sul campo con centinaia di vittime.

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