In Sudan è ancora lontano un accordo tra forze armate e dimostranti e opposizione. Questi ultimi hanno indetto uno sciopero di 48 ore per fare pressione sui militari che governano con un Consiglio di transizione. «Ci aspettiamo una grande partecipazione. È un avvertimento alle forze armate perché accelerino il trasferimento del potere», ha affermato un portavoce dell’Associazione dei professionisti sudanesi, promotrice delle proteste che il mese scorso hanno portato alla destituzione del presidente Omar al-Bashir. Alla mobilitazione hanno già aderito, tra gli altri, i dipendenti del settore petrolifero e del gas, dell’autorità portuale, i veterinari e gli avvocati, insomma quella che comunemente viene definita la società civile.
Lo sciopero è stato indetto in seguito al fallimento dei colloqui con il Consiglio militare di transizione per raggiungere un accordo di spartizione del potere nel periodo di transizione. La causa del fallimento riguarda un punto cruciale che per opposizioni e dimostranti è essenziale. Si tratta della composizione del Consiglio sovrano, cioè l’organismo incaricato di guidare il governo durante il periodo di transizione. Il principale punto di contesa resta, in particolare, la presidenza e il numero di rappresentanti che ciascuna parte dovrà avere in seno al Consiglio, di cui ognuna rivendica la maggioranza. Nelle scorse settimane le due parti hanno raggiunto un primo accordo convenendo che il periodo di transizione sarà di tre anni e che il governo transitorio sarà interamente formato dalle Forze per la libertà e il cambiamento e che la maggioranza (il 67%) dell’Assemblea legislativa di transizione sarà riservata ai gruppi di opposizione.
Alle forze che dal dicembre scorso protestano, e che hanno lasciato sulla strada un centinaio di morti, tutto ciò non basta. Vogliono chiudere definitivamente con i militari e con uno Stato che applica la legge coranica. Ciò spiega la grande partecipazione femminile a queste proteste. Nella foto, una donna che arringa il popolo e lo incita alla protesta. L’immagine è diventata virale in Sudan e in molti Paesi africani.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)