Capita che gli scrittori – in particolare i più grandi – riescano a captare in anticipo e raccontare crisi e problematiche del futuro, e gli africani non fanno eccezione. Lo abbiamo visto con il sudafricano Deon Meyer, che in Italia pubblica con la casa editrice e/o e che fa cominciare il suo ultimo libro – Fever (2016), non ancora tradotto in italiano – con la descrizione di una pandemia scatenata da un virus trasmesso dagli animali all’uomo, che arriva ad uccidere il 95% della popolazione mondiale e ha una fenomenologia molto simile al coronavirus. L’idea, ha spiegato Meyer, gli è stata suggerita dalle ricerche e dagli studi che gli scienziati avevano da tempo messo in campo. Nessun potere divinatorio, dunque, ma la semplice (si fa per dire) capacità di prestare attenzione alle informazioni davvero rilevanti del presente e di sottrarsi ai “fattoidi” che dominano l’informazione mainstream.
Un altro libro incredibilmente preveggente e firmato da una penna afro è The parable of the Talents dell’afroamericana Octavia Butler, scrittrice di fantascienza considerata la pioniera del genere noto come afrofuturismo. Non si tratta in questo caso di virus ma di presidenti pericolosamente capricciosi e populisti. Il libro, uscito nel 1998 e pubblicato in Italia da Fanucci tre anni dopo con il titolo La parabola dei Talenti, racconta infatti di un candidato alla Casa Bianca che nel 2032 riesce ad agguantere lo scranno al grido di “Help us to make American great again” e che, anche sul piano fisico, sembra la controfigura di Donald Trump. Butler scrive in tempi non sospetti e sbaglia la datazione di qualche lustro, ma veicola la sua science fiction in una dimensione fortemente sociale. Le sue storie d’altra parte hanno anticipato la riflessione su molte altre questioni importanti, per esempio il cambiamento climatico, e hanno ispirato vari autori e autrici afroamericani. Ecco un paio di “eredi” che vale la pena di tener d’occhio: Nnedi Okorafor, tradotta anche in italiano, che nei suoi libri intreccia fantascienza e afrofemminismo, e Nora K. Jemisin. Entrambe sono state premiate e nominate al Nommo Award , un premio letterario presentato dall’African Speculative Fiction Society. Nommo, per inciso, è il nome dato ad alguni spiriti antropomorfi dal popolo Dogon del Mali.
Tra le opere recenti in cui oggi è presente in modo più clamoroso questo slancio anticipatorio c’è senz’altro 404, l’ultimo lavoro del franco-algerino Sabri Louatah, che in Italia ahimé non è stato ancora pubblicato. Il titolo riprende il numero con cui viene indicato uno degli errori più ricorrenti in Internet, e descrive uno scenario in cui le fake news cessano escono dalla dimensione virtuale per acquisire una spessa realtà. Louatah – lo ricordiamo – è diventato famoso nel 2012 con les Sauvages, un romanzo in quattro tomi (pubblicato in Italia nel 2017 da Mondadori con il titolo I selvaggi) in cui immaginava la prima elezione di un presidente francese di origine algerina.
Anche 404 comincia con una campagna elettorale presidenziale, collocata in un imprecisato ma imminente futuro. A caratterizzarla è la diffusione di fake video, che è impossiible distinguere da video autentici e che rapidamente occupano la scena, inquinando irrimediabilmente la kermesse elettorale, in uno scenario da “pandemia digitale” che il lettore intuisce pericolosamente prossimo. Per porre un freno, nel romanzo, viene allora istituita una commissione parlamentare d’inchiesta che si pronuncia per l’adozione di misure ultradrastiche: il ricorso una app, la 404 appunto, che impedisce di procedere a qualsiasi tipo di registrazione, consegnando la cittadinanza a un orizzonte ancora più distopico.
Il filo conduttore dell’intera narrazione è affidato alla domanda che si pone a un certo momento Allia, di nazionalità franco algerina e figura principale del romanzo: «Non abbiamo forse sottovalutato quanto fossimo collettivamente dipendenti dalle immagini digitali come fonti privilegiate di informazione, e dunque esposti alla possibilità di essere manipolati a discrezione altrui?». Le cose prenderanno davvero questa piega? Louatah, come Meyer e/o Butler, ci sta descrivendo il futuro prossimo? Ovviamente non possiamo saperlo. Ma potrebbe essere sensato anche in questo caso non liquidare il tutto come un puro esercizio della fantasia.
(Stefania Ragusa)