Se Cristo è nero e si è fermato a Metaponto

di Stefania Ragusa

Ci voleva forse un regista controverso e visionario per toccare corde così sensibili. Milo Rau, autore svizzero di teatro e di cinema, direttore dell’IIPM (International Institute of Political Murder) da mesi prova a entrare a gamba tesa in un contesto delicato e complesso come quello della rivisitazione della figura del Cristo. Ne Il nuovo Vangelo, in questi mesi in lavorazione, gli apostoli e i seguaci di Gesù sono rifugiati e contadini disoccupati, alla disperata ricerca di una risposta di solidarietà ma pronti a lottare contro  forme di abuso e di potere che non gradiscono essere messe in discussione. Il punto di partenza è un capolavoro riconosciuto di Pier Paolo Pasolini, quel Vangelo secondo Matteo, giudicato da molti eretico e girato fra i Sassi di Matera. Oggi il capoluogo lucano è capitale europea della Cultura, i Sassi, considerati un tempo “vergogna d’Italia”, sono meta di turisti da tutto il mondo e le stanze in cui vivevano le persone più povere parte integrante di una “movida europea” che non conosce basse stagioni. Ma il ricordo resta e, a pochi chilometri di distanza si continuano a perpetrare dinamiche di sfruttamento e caporalato che poco hanno da invidiare alla schiavitù. Il connubio è facile ma ricco di contraddizioni. Per parlarne serve la cronaca.

A Metaponto di Bernalda fino a pochi giorni fa sorgeva un ghetto, un capannone abbandonato e occupato dai lavoratori impegnati in agricoltura chiamato La Felandina. Eris Petty Stone, 26 anni, cittadina nigeriana, il 7 agosto, muore fra le fiamme in una baracca, ancora sono ignote le cause dell’incendio. Il giorno dopo la prefettura ordina lo sgombero del capannone, alcuni legali scoprono poi che tale disposizione era stata emanata il 17 maggio. Nessuno  però l’aveva notificata agli occupanti, quindi non poteva essere resa esecutiva. Dopo l’incendio partono le notifiche in 3 lingue e si dispone lo sgombero. Alcuni legali prendono le difese degli occupanti e presentano ricorso al TAR. L’udienza è prevista per il 18 settembre ma l’ordine viene eseguito il 28 agosto. Nel frattempo si era costituito un Forum delle Terre di Dignità per organizzare manifestazioni e impedire lo sgombero,  disposto in nome della salute pubblica ma senza offrire soluzioni alternative.
Due giorni prima, il Forum e i braccianti hanno organizzato una manifestazione di protesta che viene ripresa ed entra nella sceneggiatura del film, in cui a interpretare il Cristo è Yvan Sagnet, sindacalista, italo camerunense, laureato al politecnico di Torino, attivista impegnato in particolare a denunciare lo sfruttamento e i drammi quotidiani dei lavoratori agricoli, al sud ma non solo, promotore della rete NoCap che combatte il caporalato e promuove una distribuzione alternativa dei prodotti agricoli, volta a garantire qualità e salari più equi. Il “nuovo Cristo” (attaccato polemicamente dai media di destra) è dalla parte dei migranti, difende la loro dignità e il loro diritto al lavoro.
Il 26 agosto si è svolta la manifestazione, accompagnata da polemiche: alcuni braccianti e attivisti lamentavano di essere stati usati come comparse in un set cinematografico in cui in realtà interpretavano se stessi. Altri, fra cui Yvan Sagnet, difendevano il ruolo svolto, raccontavano di una simultaneità e di una sinergia fra riprese e lotta, garantivano che, anche grazie al film, la mobilitazione aveva raggiunto maggiore visibilità. E alcuni fatti sono incontrovertibili.

La manifestazione, che si è conclusa in località Serra Marina, ha avuto molto spazio mediatico ma non ha ad oggi permesso ai lavoratori, considerati migranti e non soggetti di diritto da parte del territorio, di trovare un alloggio decente.  Ora che le riprese sono terminate e il docufilm è in fase di realizzazione – dovrebbe avere una distribuzione internazionale – i riflettori sono rimasti accesi su un territorio che fino a ieri i riteneva immune dal caporalato. A differenza che in altre realtà più note, come il foggiano o la Piana di Gioia Tauro, nel metapontino – ma più in generale nella Basilicata – i braccianti non vivono solitamente in grandi agglomerati ma si disperdono in piccoli casolari spesso non collegati l’uno all’altro e da cui è difficile raggiungere quotidianamente i posti di lavoro. Solo in periodi particolari, legati alle raccolte, ci si assembra in alcune località come appunto Metaponto, nei pressi di Matera o Palazzo San Gervasio, Molinelle o Boreano, più vicini a Potenza. Dopo lo sgombero, i lavoratori, in gran parte provenienti dall’Africa sub-sahariana (molti dal Sudan), si sono divisi. Una parte è andata nel foggiano o nei pochi posti letto disponibili nel potentino; i più dormono sotto un cavalcavia o, peggio ancora, nei campi. Qualche parrocchia ne ha presi in carico alcuni ma è evidente che questa non  una soluzione struttturale. La Regione ha avuto da tempo i fondi europei (700 mila euro) per affrontare meglio la crisi, ma al momento risultano sono ancora bloccati. Non più solo un Cristo quindi, ma tanti apostoli dispersi che però predicano la necessità di continuare a mobilitarsi per i propri diritti. M. H. cittadino sudanese che preferisce che il suo nome non venga pubblicato è da tanti anni in Italia, prima in un centro di accoglienza a Roma (che si è rivelato essere parte del sistema di mafia capitale) e ora nei campi: «Mi hanno sgomberato a Roma e ora anche qui», racconta  con amara ironia. -«La manifestazione è stata importante, importante che giornali e tv ne abbiano parlato, ma ora sta a noi tornare a farci sentire. In fondo chiediamo solo un posto in cui dormire, lavarci e lavorare in condizioni decenti».

Torniamo al film. Come in ogni rivisitazione del Vangelo che si rispetti, un posto importante è riservato al Giuda. Ad impersonarlo ci risulta essere Gianni Fabbris, presidente di Altragricoltura, associazione che da anni si batte per realizzare un rapporto con la terra che contemperi rispetto del lavoro, attenzione all’ambiente, recupero delle produzioni tradizionali, contrasto ai poteri delle grandi catene di distribuzione. Il suo ruolo ovviamente è una finzione. Le vere figure negative che restano nell’ombra sono coloro che, nelle istituzioni locali e nazionali, a volte persino in organismi di tutela come i sindacati, tradiscono le aspettative di chi, civilmente, chiede di veder rispettata la propria dignità. Interessi politici, paura di perdere il consenso dei propri elettori, a volte semplice sciatteria, rendono problemi altrimenti risolvibili, data la risibilità dei numeri delle persone coinvolte, insormontabili.
Quando il film uscirà nelle, sale – le riprese finiranno ad ottobre – forse la vicenda specifica sarà dimenticata ma potrebbe ancora far discutere per numerose ragioni. Se da una parte la sua produzione è stata sostenuta anche da Matera 2019 e lo stesso sindaco della città si è prestato ad interpretare il “cireneo” (in un primo tempo gli volevano far assumere il ruolo di Ponzio Pilato), dall’altra ha creato uno scompiglio non previsto.  Alcuni quotidiani locali e nazionali si sono scagliati contro l’utilizzo, a loro dire “politico” delle sacre scritture, in chiave “buonista”. Forse il regista ha colpito il bersaglio giusto, pensando a chi agita madonne e rosari e poi dichiara l’odio come religione imperante, o forse, magari, si capirà, quanto in questo assurdo paese, da Saluzzo a Cassibile, passando per gran parte del territorio del paese in cui l’agricoltura è fondamentale per il tessuto economico, ci siano tanti “poveri cristi” che da tempo hanno cominciato ad alzare la schiena e a lottare.

Stefano Galieni

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