In anteprima mondiale al Festival di Locarno è stata presentata l’opera prima della regista svizzera Caterina Mona, “Semret”. Vi consigliamo la visione di questo film che si fa portatore di temi complessi su cui vale la pena soffermarsi: l’immigrazione, il trauma, l’integrazione, la femminilità, l’amore e l’amicizia
di Annamaria Gallone
Alla recente edizione del 75°Festival di Locarno (3/13 agosto) è stato presentata in Piazza Grande in anteprima mondiale Semret, opera prima della regista svizzera Caterina Mona. Penso valga la pena di parlarne, perché si tratta di una storia drammatica, commovente, che tocca temi complessi come l’immigrazione, il trauma, l’integrazione, la femminilità, l’amore e l’amicizia e ha come protagoniste due donne eritree.
La prima immagine è quella di un ospedale nel reparto di maternità, dove scopriamo Semret (Lula Mebrahtu), che tiene in braccio un neonato e poi conforta una partoriente. Ci troviamo a Zurigo, dove la donna, madre single, lavora come ostetrica e vive con la figlia quattordicenne, Joe (Hermela Tekleab). Si intuisce che Semret ha un passato tumultuoso denso di sofferenza che lei vuole tenere nascosto all’adolescente perché vuole garantirle un futuro sereno e ritiene ingombranti le sue origini, che sta pian piano dimenticando. Semret fa di tutto per integrarsi, si veste all’occidentale e sopporta con grande forza d’animo gli episodi di razzismo di un mondo che non vuole accettarla.
Joe, però, esige di conoscere il suo passato e ciò che è accaduto a suo padre: affronta la madre con determinazione, ma Semret sembra irremovibile. Si chiude sempre più in sé stessa, in un’ostinata solitudine che l’allontana sempre più dalla figlia.
Il difficile rapporto di madre e figlia ricorda quello di un altro film di cui abbiamo recentemente parlato: Una madre e una figlia (Lingui) di Mahamat Saleh Haroun, presentato all’ultimo festival di Cannes. In entrambi i casi le due donne si amano profondamente, ma non si capiscono. L’una ha chiuso con il passato e fatica a pensare con ottimismo al futuro, l’altra è gioiosa e fiduciosa, ma ha bisogno di conoscere il passato.
Dopo una giornata particolarmente dura, Semret tornata a casa di notte, si addormenta, ma poi si sveglia terrorizzata da un incubo e si rifugia nel lettino di sua figlia per trovare conforto nel suo abbraccio assonnato.
Altri personaggi fondamentali sono Yemane (Tedros Teclebrhan) e Tesheme (Fanuel Mengstab). Anche se Semret evita deliberatamente le persone del suo stesso paese, cede alle insistenze di Joe e l’accompagna a una di quelle feste piene di cibo e canzoni locali, in una bottega che è il punto di ritrovo della comunità. Lì incontrano Yemane, un rifugiato eritreo che lavora come bidello, e lui presenta Joe al suo giovane nipote. L’amicizia tra Tesheme e Joe è piena di momenti toccanti e spensierati, ma Semret disapprova il desiderio di Joe di esplorare di più la propria comunità. Nel frattempo, la conoscenza con Yemane si trasforma pian piano in qualcosa di più intenso e forte, ma i traumi di Semret e la sua paura ad approcciarsi alla vita faranno da ostacolo a questo possibile nuovo amore. Semret ama quest’uomo compassionevole e cerca di riscoprire alcune emozioni che ha rimosso da tantissimo tempo. Ma il trauma del passato non è ancora stato superato e per questo lo respinge. Un momento cruciale è anche la scena in cui Semret scopre la sessione di gruppo femminile che opera fuori dal negozio dell’immigrata eritrea. Spinge Semret ad affrontare la verità che molte donne hanno sofferto come lei e stanno ancora imparando a convivere con il loro trauma. Infine, Semret capisce la necessità di affrontare il proprio trauma per imparare ad amare Joe senza essere iperprotettiva e senza ostacolarla nelle sue scelte.
La regia è molto semplice, ma il film trasmette emozioni intense e molto è dovuto anche alla bravura degli attori che non sono professionali, ma si sono profondamente immersi nella storia e si muovono con grande naturalezza davanti all’obbiettivo.