Aria dimessa, capelli coperti da un velo nero, Adji Sarr ha reso mercoledì la sua versione del caso Sonko in tv: alla presenza anche del suo legale, ha affermato l’inesistenza del complotto, indugiato su dettagli intimi dell’affaire e invitato il suo cliente più famoso a giurare sul Corano di non avere mai avuto rapporti sessuali con lei. Ha ribattuto punto punto a tutte le dicerie circolate su di lei in queste settimane. Ha anche sfidato la sutura (la tradizionale riservatezza senegalese) e offerto il fianco alle critiche. Moltissime critiche.
Il sociologo Mamadou Wane “Mao”, per esempio, non ha apprezzato per niente l’uscita televisiva della ragazza. “In considerazione del contesto di pacificazione avviato dai religiosi, è come se avessimo riacceso il fuoco su una vicenda in sospeso, senza contare la segretezza delle indagini che ha violato”, ha detto Mao.
Anche Ahmadou Makhtar Kanté, imam della moschea di Point E, quartiere residenziale di Dakar, ha espresso su Facebook il suo disappunto. La legge islamica, ha spiegato, non prevede che sia l’accusatore a chiedere all’accusato di giurare. Non si tratta poi qui di convincere l’opinione pubblica, ma il giudice. Cheikh Tidiane Dièye, coordinatore del movimento M2D, ha avuto parole di fuoco: “La drammatizzazione della tragedia vissuta dai senegalesi, così come è stata presentata ieri sugli schermi, è un grave assalto ai principi morali della nostra società. Ma tale bassezza coinvolge solo i suoi autori”. E l’elenco dei detrattori – formato essenzialmente da uomini – si potrebbe allungare ancora.
Diverse voci femminili si sono levate invece per riportare l’attenzione su un particolare: lasciando da parte la sutura e le pur apprezzabili e determinanti mediazioni delle confraternite sufi, la ragazza che ha parlato in tv è, fino a prova contraria, una vittima di violenza, e come tale merita di essere ascoltata e trattata con rispetto. L’attivista e psicoterapeuta Khaira Thiam, per esempio, ha chiarito perfettamente il concetto sulla sua pagina FaceBook. E senza citare Adji Sarr. “A tutte le donne passate attraverso una violenza sessuale: noi vi vediamo, vi crediamo, vi sosteniamo”, ha scritto. Rimarcando poco dopo l’arroganza e i limiti di “chi crede di poter determinare quale comportamento dovrebbe o non dovrebbe avere un vittima di stupro” sulla base della propria “normatività”.
Secondo altri osservatori, però, l’uscita di Adji Sarr è servita a riportare in asse la vicenda e a ricordare, a Sonko soprattutto, che c’è un processo in corso e che l’accusatrice ha probabilmente al suo arco frecce non dichiarate. Magari non in grado di dimostrare lo stupro, ma di attestare la relazione adulterina sì. Il dire e non dire rispetto all’eventualità di una gravidanza riconducibile a Sonko va proprio in questa direzione. E per un personaggio come il leader del Pastef, considerato un salafita e proprio per questo visto non troppo bene dalle confraternite sufi che dominano la scena religiosa del Senegal, una debolezza di questa sorta aprirebbe non le porte della prigione ma quelle del discredito. Un discredito ricco di ricadute elettorali.
A questo punto, infatti, è abbastanza chiaro che Macky Sall non può aspirare a un terzo mandato se non immaginando un colpo di mano che certo non passerebbe inosservato (a questo giro il presidente ha compreso a sue spese quanto pervasiva e inevitabile sia la potenza informativa dei social e di internet) e che difficilmente avrebbe la benedizione dei capi religiosi. Dunque la questione politica immanente riguarda la successione del presidente. E, per quanto la popolarità di Sonko oggi sia cresciuta, i giochi sono tutt’altro che fatti.
Le prossime elezioni presidenziali in Senegal sono previste nel 2024, mentre quelle municipali, dipartimentali e regionali, già rimandate più volte, dovrebbero tenersi quest’anno. Sonko piace molto ai giovani e ai senegalesi della diaspora, ha visto crescere la sua popolarità internazionale, ma non ha l’appoggio delle confraternite che rappresentano il livello più influente di potere nel Paese.
Potrebbe avere delle possibilità di vittoria solo se riuscisse a costruire attorno a sé un blocco forte, capace di andare oltre il Pastef. Macky Sall in realtà non è forte, osservava ieri il presidente del Grand Partì, Malick Gakou, in un’intervista rilasciata a Dakaractu. La sua forza deriva dalle divisioni e dalle frammentazioni delle opposizioni. E, anche, dalla facilità con cui gli oppositori si sono lasciati cooptare dal potere. C’è da scommettere che il presidente in carica giocherà proprio per esasperare questa frammentarietà e portare avanti, nel contempo, un candidato di suo gradimento. Tra i nomi che circolano c’è quello dell’ex nemico Idrissa Seck. Mentre un ipotetico il ritorno in patria di Karim Wade (che pure non potrebbe essere candidato per via della condanna) caldeggiato dal Pds, il partito fondato dal padre di Karim, l’ex presidente Abdoulaye Wade, servirebbe proprio a scompaginare l’opposizione. Ecco perché è probabile che Macky Sall si decida a avallarlo. Rinunciare al terzo mandato non implica infatti la rinuncia a indirizzare il futuro del Paese e, ça va sans dire, dei suoi preziosi giacimenti.
(Stefania Ragusa)