Le immagini delle ruspe all’opera per sradicare i baobab di Ndengler hanno fatto il giro del web. Alberi secolari sacrificati, per affermare la supremazia di un operatore economico su terre di umili contadini. C’è voluto quel sacrificio per far arrivare l’indignazione dei senegalesi alle orecchie del presidente della Repubblica Macky Sall, costretto a intervenire in prima persona per disinnescare la bomba a orologeria rappresentata da questa controversia. Le ruspe si sono fermate. Almeno per un po’, il tempo di questa stagione agricola.
Ndengler (anche scritto Dingler, o Ndingler) si trova a sud di Thies, nel dipartimento di Mbour, in Senegal. È un paesino rimasto indietro nel tempo, dove gli abitanti, di etnia serer, vivono di agricoltura di sussistenza – miglio, arachidi, niebé – praticata sulle terre circostanti. Anche i baobab, giganteschi alberi tipici di molti paesaggi africani, sono fondamentali per l’alimentazione poiché forniscono frutti commestibili, ricchi in vitamine C, proteine, fibre, e foglie ricche di calcio.
Qualche settimana fa l’uomo d’affari Babacar Ngom, presidente del gruppo Sedima, , un gruppo senegalese che lavora nei settori dell’agricoltura, dell’avicoltura e dell’immobiliare, ha annunciato di essere il proprietario di 300 ettari di terreni nella regione. Ha in mano titoli fondiari concessi dal Comune di Sindia. Circa 75 ettari di queste terre sono il bene più prezioso dei serer di Ndengler. Inizia un braccio di ferro tra i contadini e la Sedima. La Sedima scava profonde trincee per impedire l’accesso alle terre. Gli agricoltori la accusano di spoliazione di terre, fondamentali per la loro sopravvivenza, proprio nel momento in cui stava iniziando la semina. «Vuoi queste terre per sfamare i tuoi pulcini, mentre noi lottiamo per poter dare da mangiare a uomini e donne», ha inveito l’anziano capo villaggio, Ablaye Dione di fronte all’imprenditore. Senza il frutto di questa terra, di cosa vivrà la gente di Ndengler?
A far scattare ulteriore sdegno e rabbia è stata la distruzione dei baobab, alcuni dei quali secolari. «Il baobab è l’albero simbolo del nostro Paese. È rappresentato nello stemma del Senegal, insieme al leone» ricorda ad Africa Rivista Ngor Dione, un socio-antropologo, che come molti senegalesi ha preso a cuore questa vicenda. Su Twitter, i post sono durissimi: c’è chi paragona la distruzione di baobab all’uccisione di bambini inermi da parte di soldati in guerra, chi parla di catastrofe ecologica, culturale, storica, chi del crollo di un patrimonio nazionale. Gli scatti dell’artista fotoreporter Boubacar Toure Mandemory contribuiscono alla diffusione di questa vicenda, con un’attenzione alle condizioni di vita della sua popolazione e ai rischi in caso di privazione delle terre.
«Nella tradizione, un villaggio si formava attorno a un albero. È un elemento vivo centrale nella vita comunitaria. Culturalmente, nella religione dell’etnia serere, il baobab è anche considerato un albero sacro, un luogo di culto. Sotto i baobab si consumavano sacrifici per poter raggiungere gli antenati. Non solo, al loro interno, venivano deposte le spoglie di alcune categorie defunti. Erano cimiteri. Non a caso, si dice che i baobab siano abitati dagli spiriti», racconta Ngor Dione.
Al peso delle antiche tradizioni si aggiunge quello economico. «Il baobab offre frutti in un periodo dell’anno in cui è difficile trovare cibo. È importantissimo per l’economia di sussistenza, perché permette il collegamento tra le stagioni produttive e quelle in cui non è possibile raccogliere nulla. Sono soprattutto le donne a lavorare con i frutti del baobab, che vendono per avere un minimo guadagno. In cucina, nei villaggi, i frutti si usano per fare il cuscus, e durante la stagione secca vengono dati al bestiame come mangime. Uccidendo i baobab, si uccide l’economia di quella stagione dell’anno difficile dal punto di vista agricolo», sottolinea il nostro interlocutore.
Da pochi giorni, in seguito all’intervento presidenziale, i contadini di Ndengler possono riavere accesso ai campi e coltivare il necessario per i mesi in arrivo. Ma il litigio è solo rimandato. L’imprenditore ha scelto il business a discapito della cultura e non sarà facile arrivare a un compromesso. Resta anche il nodo «fondiario», un dilemma che in molti scenari africani mette a confronto popoli autoctoni e investitori. A dare battaglia, in queste settimane, è anche la vicina la località di Djilakh, che chiede indietro i 225 ettari di terreni concessi alla Sedima.
Ndengler, intanto, può tirare un sospiro di sollievo. Ha con sé la forza degli spiriti dei baobab.
(Céline Camoin)
(Fotografia tratta dal reportage “Voyage à Ndingler”, gentilmente concessa da Boucacar Toure Mandemory)