A Dakar, come nel resto del mondo, il coronavirus è il primo pensiero al mattino e l’ultimo la sera. Vale anche per giovani imprenditori e consulenti senegalesi come Mamadou Thiam, CEO dell’associazione Guediawaye Avenir, da anni impegnato come professionista e volontario in progetti tesi allo sviluppo e all’empowerment della comunità locale. Gli abbiamo fatto qualche domanda.
Come ha influito il coronavirus sulla società senegalese?
«Il Covid-19 è arrivato in Senegal in modo brusco ma non inaspettato. Il Paese si era preparato a seguire le buone pratiche fino ad allora studiate a livello globale. Il Governo aveva già installato, al momento dei primi casi, barriere protettive e termometri elettronici nei luoghi più sensibili ed affollati. Inizialmente i primi positivi venivano dall’Europa. Adesso sono ormai oltre 1000 i casi confermati ma i numeri potrebbero essere superiori. Questo livello di propagazione del virus all’interno del Paese ha causato un indurimento delle misure di sicurezza e di protezione da parte delle autorità, che ha portato poi alla dichiarazione dello stato di emergenza. Inoltre è stato istituito il coprifuoco e la chiusura di porti ed aeroporti, sono stati proibiti gli spostamenti interurbani ed è stata fatta raccomandazione di adottare il telelavoro ove possibile. Tali misure, anche se agiscono per contrastare l’epidemia, non saranno prive di conseguenze. Intaccheranno notevolmente la nostra economia ed il benessere della nostra società, il Paese è già povero e fortemente indebitato. Qui la vita è complicata: molti di noi vivono di sussistenza e grazie a stipendi e paghe (non sempre regolari) si sfamano spesso famiglie numerose. La mia paura maggiore deriva dal fatto che una buona parte della popolazione non ha una percezione profonda di ciò che questo virus può rappresentare, inoltre le famiglie numerose e la promiscuità dei cittadini rappresentano un rischio».
Avete paura della possibilità di abusi e violenze per le strade, anche da parte delle autorità?
Chiaramente ho paura, abbiamo paura ed abbiamo molti motivi per averne. In Senegal si parla, già dall’inizio dell’epidemia, di scorrerie e violenze notturne oltre che di possibili abusi da parte della polizia nei confronti dei civili. La situazione è tesa e sappiamo che la già complicata situazione in cui versa il Sahel non aiuterà di certo: il terrorismo è nella regione e il Senegal è l’unico Paese della zona libero da questa piaga. Un momento come questo, causando difficoltà e disperazione nella popolazione più povera, potrebbe essere un fattore che favorisce la radicalizzazione e l’affiliazione. Tali rischi devono essere considerati e non possono passare in secondo piano. Con l’associazione “Guediawaye Avenir” ci stiamo occupando di progetti che favoriscono la sicurezza e la collaborazione tra mondo civile e autorità in modo da mantenere una situazione stabile. Ora più che mai, iniziative di questo genere sono indispensabili per affrontare queste problematiche».
Come si sta gestendo la pandemia a livello politico?
«L’intera classe politica e le autorità statali sono coalizzate per trovare soluzioni valide contro la pandemia. Tuttavia ci sono diverse controversie: da un lato vediamo alcuni sostenitori di correnti panafricane che lottano per far sì che, almeno questa volta, l’Africa sia “al tavolo e non sul tavolo”. Dall’altra parte ci sono politici che vogliono approfittare della situazione per personali tornaconti economici. La pandemia insomma divide i politici e le opinioni ma in ogni caso la priorità è trovare una soluzione tempestiva e duratura per fronteggiare questa drammatica situazione. Senza la salute non si possono portare avanti le proprie lotte e anche la cultura della pace resta ferma davanti al virus. Ancora una volta, in Senegal come in altri Paesi africani, un forte grido per la cessazione dei pagamenti del debito coloniale e l’istituzione di forme di sanità pubblica più efficienti si fa più forte giorno dopo giorno».
(Andrea Silvestri)