Senegal, la cura del marabutto

di claudia

di Stefania Ragusa – foto di Christian Bobst

Versetti coranici, erbe miracolose e formule magiche: così in Senegal le guide spirituali delle confraternite islamiche assistono i fedeli bisognosi di aiuto. Nel paese i marabutti sono venerati per la loro capacità di mediare con il divino e per i loro presunti poteri taumaturgici. I fedeli li consultano per risolvere problemi spirituali o di salute. E chi non riesce a ottenere l’appuntamento per una visita si fa curare a distanza, grazie alle nuove tecnologie

Këur Ndiaye Lô è un villaggio di circa quattromila anime, tra Rufisque e Sangalkam, a una trentina di chilometri dalla capitale del Senegal, Dakar. In wolof (la lingua locale) këur vuol dire “casa”; Ndiaye Lô è il nome del fondatore del villaggio. Qui, in una dimora modesta ma tecnologicamente attrezzata, vive Serigne Cheikh Seye, di professione marabutto. È questa una parola di derivazione araba, usata per designare una guida spirituale, un maestro, ed è ricorrente nella tradizione sufi musulmana, in particolare in Africa occidentale. Il marabutto non va confuso con l’imam, ossia il capo della moschea incaricato di guidare la preghiera. Ha uno status distinto, che discende dal suo carisma e lo collega alle confraternite religiose (Muridiyya, Tijāniyya…) che sono assai radicate in questa parte del continente.

Maestri prodigiosi

In Senegal i marabutti sono figure importantissime, hanno un’influenza che va oltre la religione e investe le dinamiche sociali e politiche. Occupano posizioni diverse nella complessa gerarchia delle confraternite, ma a tutti viene riconosciuta una grande saggezza e soprattutto il potere di mediare con la dimensione divina e di intervenire nella realtà mondana. In altre parole, compiono miracoli, o predispongono protezioni particolari che consentono a chi le riceve di uscire indenne da situazioni di pericolo. Tra queste protezioni rientrano i talismani (gris-gris) che riportano al loro interno versetti del Corano. Serigne è una parola wolof che significa “maestro” e viene apposta al nome proprio del marabutto, diventandone parte integrante.

Serigne Cheikh Seye divide la sua giornata tra la preghiera e gli incontri con i fedeli. Riceve ogni giorno molte visite. C’è chi si rivolge a lui per risolvere un problema (di salute, di denaro, di famiglia…), chi viene a chiedere un consiglio, chi semplicemente lo cerca per pregare e avere una benedizione. Ci sono fedeli che vengono da lontano, attratti dalla sua conoscenza della farmacopea tradizionale. Seye, secondo vari testimoni, ha trattato e curato anche alcuni tipi di tumore.

Chi non può spingersi personalmente fino a Këur Ndiaye Lô ha comunque la possibilità di chiedere un intervento a distanza. E questo accadeva anche prima dell’avvento di Zoom e di altre analoghe piattaforme. Le distanze non hanno mai rappresentato un ostacolo per i veri marabutti. Basta sapere il nome di chi ha bisogno, spiega Cheikh Seye, basta conoscere il problema e si può intervenire. A volte arrivano richieste da stranieri, da persone che hanno sentito parlare di lui e delle sue capacità da senegalesi che vivono all’estero. Cheikh Seye raccoglie e analizza la richiesta, poi decide se intervenire e come. Può vedere cose che altri non vedono. Può “sentire” la sincerità di chi si rivolge a lui. Può decidere se dire di no, e lo fa sempre, sistematicamente, quando la richiesta è in contrasto con il Corano.

Talismani islamici

Come altri colleghi, anche il nostro serigne rivendica piena coerenza con la religione musulmana. Il suo lavoro e la creazione di talismani non rappresentano una digressione dalla fede, uno sconfinamento nell’animismo preislamico, come sostengono salafiti e wahhabiti, che vedono i marabutti come il fumo negli occhi. Probabilmente ha ragione.

Andrea Brigaglia, docente di Storia dell’Africa islamica e di Società e culture dell’Africa subshariana all’Orientale di Napoli, ha dimostrato che l’uso talismanico della scrittura sacra affonda le radici nell’islam stesso, più che in pratiche tradizionali africane. Ne parla nel poderoso volume Arti talismaniche scritto con Gigi Pezzoli, presidente del Centro Studi Archeologia Africana di Milano, che ha fatto da catalogo alla mostra Nel nome di Dio Omnipotente. Pratiche di scrittura talismanica dal Nord della Nigeria, allestita a Napoli e poi a Milano. E non è un caso che quest’uso si ritrovi, insieme ai marabutti, anche fuori dal continente. Molto interessanti, per esempio, le affinità tra la devozione ai serigne senegalesi e il culto dei pir del Bangladesh e del Pakistan.

Poteri enormi

Lo status di marabutto si acquisisce per discendenza o per investitura. Un marabutto in essere designa tra i figli, o eventualmente tra i seguaci, chi dovrà succedergli. Con il suo carisma e i miracoli questi dovrà mostrarsi all’altezza del compito. Serigne Cheick Seye spiega di essere stato scelto dal padre e allevato nella consapevolezza di essere destinato a raccogliere il testimone e di proseguire la missione paterna. In Senegal la rilevanza politica e sociale dei marabutti è nota e tangibile ovunque si volga lo sguardo. Nelle case è normale trovare esposta, accanto a quelle dei parenti, la foto del serigne di riferimento. Alcune persone, particolarmente devote, la portano appesa al collo.

Grazie a donazioni e a guadagni riconducibili ad attività imprenditoriali, i marabutti possono inoltre gestire somme considerevoli di denaro, di cui teoricamente si servono per operazioni di welfare. Non scendono mai personalmente nell’arengo politico, ma la loro parola ha un peso che travalica quello di qualsiasi leader di partito, e questo è vero in modo particolare nel caso dei vertici delle confraternite. L’endorsement di un serigne autorevole può determinare l’esito di un’elezione. Lo sanno benissimo i politici, che fanno salti mortali per guadagnarselo. O, a volte, per comprarlo. Perché purtroppo, come è inevitabile quando in ballo ci sono denaro e potere, accanto a personalità specchiate ci sono anche maestri falsi o disonesti, disposti a farsi comprare o che approfittano del loro status per estorcere denaro e sfruttare chi si fida di loro.

C’è chi se ne approfitta

Una forma di sfruttamento particolarmente odiosa è quella che riguarda i talibés, bambini di famiglie povere che vengono affidati a un marabutto per frequentare la scuola coranica e avere la sicurezza di mangiare tutti i giorni. Succede però che i piccoli talibés siano invece mandati a mendicare, esposti ai rischi della strada e senza ricevere alcuna istruzione.

Su questo fenomeno esiste ormai molta letteratura. Sappiamo, per esempio, che c’è una vera e propria rete di trafficanti che invia falsi marabutti in Guinea-Bissau per convincere le famiglie indigenti a mandare i figli a “studiare” in Senegal. Sappiamo – il dato emerge da uno studio pubblicato dall’istituto di ricerca Enact l’anno scorso – che per ogni bambino indirizzato all’accattonaggio a Dakar un falso marabutto può guadagnare anche 2.500 euro al mese. Nonostante questo, non risultano azioni incisive da parte dello Stato volte a debellare il fenomeno dello sfruttamento dei minori. Probabilmente perché l’idea di mettere in discussione l’autorevolezza dei marabutti appare dissacrante e per il timore di ritorsioni. Eppure è vero il contrario, ossia che chiudendo gli occhi si rischia di avvolgere in una cattiva luce tutta la categoria. Serigne Cheick Seye lo sa e anche per questo sta molto attento a vivere con semplicità. I veri marabout sono sobri, non discriminano e non considerano mai le persone come mezzi per arricchirsi, osserva. C’è un hadith (un detto attribuito a Maometto) che recita: «Tu che vuoi predicare l’islam, va’ in mezzo alle persone e mescolati con loro». I veri marabutti si mescolano e, se brillano in mezzo agli altri, è per la loro modestia.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia clicca qui, o visita l’e-shop.

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