Se quest’anno l’8 marzo è passato un po’ in sordina, almeno in Italia, per evidenti motivi virali, non dappertutto è andata così. La stampa africana, per esempio, e le testate internazionali che si occupano di Africa, hanno riservato spazio a riflessioni e testimonianze in carattere con la Giornata.
Fra le tante, ha catturato la nostra attenzione un articolo su Apa News, portale panafricano con sede a Dakar. Il pezzo, firmato da una giornalista senegalese, è l’illustrazione (parziale), riferita al suo Paese, del tema che abbiamo messo in evidenza nel numero di Africa ora in distribuzione: i progressi degli strumenti giuridici che favoriscono la parità fra i generi. Il 28 maggio 2010, il Parlamento del Senegal adottò una legge che sanciva «la parità assoluta uomo-donna in tutte le istituzioni totalmente o parzialmente elettive». Ebbene, si è trattato, sottolinea Oumou Khary Fall, di «una rivoluzione nella legislazione del Paese». Oggi, a dieci anni di distanza, i seggi dell’Assemblea nazionale sono occupati da 69 donne: il 41,82% del totale dei deputati (nella popolazione generale del Paese, le donne sono il 50,2%). È una delle percentuali più alte tra le Camere omologhe nel continente e anche a livello mondiale Il Senegal ha inoltre già avuto due donne alla guida del governo: Mame Madior Baye, sotto la presidenza di Abdoulaye Wade, e Aminata Touré, con l’attuale presidente Macky Sall.
Una conquista che tuttavia non decreta la conclusione della lotta in questo campo. Là dove le quote rosa non sono previste, per esempio nei ruoli apicali di nomina non elettivi, le cose vanno diversamente. Delle 14 commissioni parlamentari, per esempio, 2 sono quelle guidate da donne. Proporzioni simili nell’amministrazione dello Stato.
Per colei che fu la prima candidata alle elezioni presidenziali, nel 2012, l’ambito più importante per vincere la sfida della parità è l’istruzione. «Ci sono ancora troppe bambine che non vanno a scuola – lamenta Amsatou Sow Sidibé –. Occorre formare le donne e rafforzare le loro capacità. Devono essere competitive a tutti i livelli». E può dirlo per esperienza, dato che è la prima donna senegalese con un dottorato in Giurisprudenza e in Scienze politiche.
In questi giorni è tornata alla ribalta anche una attiva blogger senegalese, Ndèye Fatou Kane (che ha ereditato il gusto della lettura e della riflessione dal nonno, il grande scrittore Cheikh Hamidou Kane), con il suo libro Vous avez dit féministe? (L’Harmattan). In esso riprende il messaggio di alcune grandi donne che l’hanno particolarmente segnata nel suo percorso di coscienza femminista. Sono Simone de Beauvoir – scelta proprio perché vissuta in un altro momento storico e originaria di un altro Paese, e di un altro continente, e ciononostante ancora così attuale – e tre africane: Chimamanda Ngozi Adichie, la scrittrice africana vivente più conosciuta (sono arrivati anche in Italia, per Einaudi, il suo Dovremmo essere tutti femministi e Cara Ijeawele. Quindici consigli per crescere una bambina femminista), nonché due scrittrici senegalesi di riferimento, Awa Thiam (La parole aux négresses, 1979) e Mariama Bâ (Une si longue lettre, 1979; in italiano in tre edizioni e titoli diversi).
Quello di Ndèye Fatou Kane è un discorso senza tanti giri di parole: constata e deplora che “femminismo” sia in Africa «una parola carica di negatività, a cui si dà una portata piuttosto occidentale». Dopo avere incontrato femministe senegalesi della prima ora, si è sentita stimolata a rilanciare, anche per mezzo di un libro, un discorso che presso le generazioni successive sembra finito su un binario morto. D’altra parte, come ha dichiarato in un’intervista a France 24, non è nemmeno disposta a imputare semplicisticamente alla colonizzazione un presunto passaggio «dalla luce all’ombra» della donna africana. Quando si parla delle grandi figure femminili africane tra lo storico e il leggendario – regine, condottiere, guerriere… – in realtà bisogna prestare attenzione alla classe di cui facevano parte, la «classe borghese»: non si può certo dire che rappresentassero le donne del ceto popolare.
Per tornare all’aspetto legislativo, Ndèye Fatou Kane – che si sta battendo anche contro le molestie e le violenze sessuali, sulle quali c’è ancora troppo «omertà» – si rallegra che in Senegal, alla fine del 2019, lo stupro sia finalmente diventato un crimine (in base alla legge del 1965 era un generico reato), punibile anche con l’ergastolo. Lo stesso trattamento è ora riservato anche ai colpevoli di pedofilia.
(Pier Maria Mazzola)