Senegal, scandalo in tivù

di claudia

Sesso, poligamia, adulterio… La popolarissima fiction “Maîtresse d’un homme marié” sfida la censura senegalese. La serie televisiva, ideata dalla giornalista Kalista Sy e ambientata a Dakar, narra con inedita disinvoltura le avventure di una giovane donna con un uomo sposato. Molto apprezzata da gran parte del pubblico, scatena le reazioni di gruppi religiosi e tradizionalisti

di Stefania Ragusa – foto di Christian Bobst

Nel 2019, tra le 100 donne nominate dalla Bbc per l’impegno e i risultati ottenuti nella vita pubblica e sociale, c’era anche una giornalista senegalese. Kalista Sy – classe 1982, sorriso disarmante e presenza scenica di una matrona – è diventata incredibilmente nota, in Senegal e altrove, grazie a Maîtresse d’un homme marié, ossia “Amante di un uomo sposato”, serie tivù da lei ideata e sceneggiata, e ambientata a Dakar. Attraverso le avventure di Marème Dial, giovane donna che ha una relazione, dapprima clandestina poi alla luce del sole, con lo sposatissmo Cheikh Diagne, questa fiction parla di sessualità e poligamia, e affronta una molteplicità di argomenti tabù per la società senegalese: matrimoni forzati, violenza di genere, depressione, omosessualità… Attorno a Marème gravitano infatti altre figure femminili, e le loro storie s’intrecciano in una successione di colpi di scena, formando un affresco un po’ manieristico ma di interessante contemporaneità.

La serie, alla terza stagione, è trasmessa da Marodi Tv Sénégal e può essere seguita anche su YouTube. Ha avuto subito un successo enorme, soprattutto presso il pubblico femminile, ma si è attirata anche moltissime critiche, tanto da essere portata al vaglio del Conseil National de Régulation de l’Audiovisuel. Il Cnra ha deciso tuttavia di non censurarla, limitandosi a posticiparne la messa in onda – in orari notturni – e a fissare alcune raccomandazioni.

Linguaggio libero

Maîtresse d’un homme marié è senza dubbio «il luogo di una parola femminile liberata», come ha osservato l’editorialista senegalese Ousseynou Nar Guèye sulle pagine di Jeune Afrique. Ma è anche la fucina di un linguaggio di difficile metabolizzazione per una società tradizionalista e poco incline alla schiettezza come quella senegalese. Non a caso, uno dei momenti più contestati è stato quello in cui la protagonista dice in wolof una frase che in italiano potremmo tradurre con “è mia e la do a che mi pare”. Decisamente troppo per Mame Mactar Gueye, della ong islamista Jamra, che ha dichiarato alla stampa: «Questa serie promuove la pornografia verbale, l’oscenità, l’adulterio e la fornicazione, condannate dalla morale più elementare, ma anche dalle due religioni del Senegal che sono l’islam e il cristianesimo».

«Le questioni dell’adulterio o della sessualità sfidano la nostra società. Dobbiamo parlarne, soprattutto perché gli elementi che i senegalesi non troveranno nelle loro produzioni si troveranno altrove», ha replicato Fatou Kiné Sène, presidente dell’associazione dei critici cinematografici senegalese (Ascc). «Abbiamo bisogno di discussioni costruttive sull’argomento, ma questo non dovrebbe essere un freno alla produzione cinematografica senegalese. La soluzione della censura non è la migliore e si presta a molti fraintendimenti».

Il silenzio squarciato

Molti sono stati infastiditi dalla crociata di Jamra, appoggiata, per la cronaca, anche dal “Comitato di difesa dei valori morali del Senegal”, giudicandola una summa dell’ipocrisia. Sui social possiamo leggere parole come quelle di Fatoumata, che commenta dalla Spagna: «Per vent’anni abbiamo visto telenovelas brasiliane, argentine e altre, come Rubí, che mostravano amanti adulteri e scabrosi. E nessuno ha detto niente. Perché, quando si parla della società senegalese, si offendono?».

La risposta è abbastanza scontata. Mettere in discussione sé stessi è sempre più fastidioso che osservare gli altri. La serie ideata da Kalista Sy costringe a fare i conti con la sutura senegalese, concetto spesso tradotto con “discrezione”, “privacy”, ma che in realtà esprime una concezione di vita improntata al rispetto di un canone di comportamento e un’autentica consegna del silenzio per quanto riguarda i moti dell’anima e si entimenti. La sutura ha molto a che fare con la dignità, ma può scivolare pericolosamente verso l’ipocrisia e tracciare un discrimine feroce tra buoni e cattivi, degni e indegni. È anche per la sutura e in nome della sutura che uomini e donne tengono per sé le proprie sofferenze. In una società in trasformazione come quella senegalese, attraversata anche da un’inedita frattura che contrappone vecchie e nuove generazioni, un lavoro come quello di Sy rappresenta un contributo rilevante.

Belle e fiere

Un altro punto a favore è rappresentato dalle scelte di casting. A differenza di quello che avviene in altre produzioni locali, le attrici di Maîtresse d’un homme marié non praticano lo sbiancamento della pelle. Sono belle, curate e… nere. In un momento in cui anche in Senegal la salute femminile è messa a rischio dalla diffusione di questa pratica dannosissima, una scelta come questa assume anche un significato politico e riflette davvero l’interesse delle donne.

Mentre scriviamo, il teaser della terza stagione è già in circolazione. Kalista Sy continua, sorridente, a rilasciare interviste e a tenere a bada i suoi detrattori. La “sentenza” del Cnra cui accennavamo sopra è stata, per certi versi, salomonica: la serie va avanti, viene trasmessa più tardi e ai fustigatori di Jamra è stato riconosciuto l’onere e l’onore di “vigilare”, se non sui contenuti, almeno sull’orario della messa in onda.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2021 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

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