La rivista statunitense Foreign Policy pubblica mensilmente un index che riporta l’efficacia con cui gli stati stanno rispondendo all’emergenza Covid-19. Nei rilevamenti di settembre, al secondo posto, dopo la Nuova Zelanda e prima dell’Islanda, troviamo il Senegal, con un punteggio medio di 89.3 su 100. All’Italia – per chi volesse saperlo – è stato attribuito un “mediocre” 47,5. Questo secondo posto è stata una sorpresa per molti, francamente non per noi e probabilmente neanche per i nostri lettori. Qualcuno tra loro ricorderà sicuramente la testimonianza dell’italiana emigrata a Dakar che si è ammalata di covid.
Nonostante il sistema sanitario fragile, la scarsità di letti ospedalieri e la carenza di personale sanitario (sette medici ogni 100.000 persone), il Senegal infatti ha saputo affrontare il COVID-19 con determinazione, velocità ed efficacia. Lo dimostrano i numeri: a più di sei mesi dall’inizio della pandemia, nel paese sono stati registrati circa 14.000 casi e, mentre scriviamo, meno di 292 decessi. Più di diecimila persone sono guarite.
Quando nel paese è stato registrato il primo caso positivo due mesi dopo, il presidente Macky Sall ha immediatamente imposto un coprifuoco e limitato i viaggi tra le 14 regioni del Senegal. Dopo lo spaesamento iniziale è stato messo a punto un test dai costi contenuti e in grado di fornire risposte anche in meno di 24 ore. Scienziati, accademici e studenti si sono impegnati nello sviluppo di macchinari e soluzioni all’avanguardia e praticabili. Gli alberghi sono stati trasformati in unità di accoglienza per le persone in quarantena e le mascherine sono state rese obbligatorie. Contestualmente si è operato in modo che la loro distribuzione fosse gratuita o a bassissimo costo. C’è stato un grande sforzo nella comunicazione (esemplare la serie tv Le Virus) e nel coinvolgimento della società civile. In tutto questo ha giocato una parte importante anche l’esperienza pregressa acquisita nella gestione di Ebola, nel 2014. Non è un caso che Ousmane Faye, capo del dipartimento di virologia dell’Institut Pasteur di Dakar, sia stato in prima linea nel contenimento di diverse epidemie in Rwanda, Congo e altri paesi africani.
«Il Senegal ha saputo muoversi velocemente e su tutti i fronti: organizzazione, scienza, comunicazione, innovazione», osserva, Judd Devermont, direttore del programma Africa presso il Center for Strategic and International Studies, think tank di politica estera apartitica. «Merita di essere inserito nel pantheon dei paesi che hanno risposto bene alla crisi, anche in considerazione dei pochi mezzi di partenza».
La testata Usa Today, nel dare la notizia, propone un paragone impietoso con la situazione americana e sottolinea anche la diversa linea di condotta personale dei presidenti dei due Paesi. Donald Trump va senza mascherina a Kenosha (la cittadina del Wisconsis dove un poliziotto ha gravemente ferito l’afroamericano Jacob Blake), Macky Sall la indossa sempre, ha fatto da testimonial in varie campagne di sensibilizzazione e si è messo in autoisolamento dopo essere entrato in contatto con una persona malata. Abdoulaye Bousso, direttore del Centro operativo di emergenza sanitaria del Senegal, conferma che il governo ha iniziato a predisporre il piano di emergenza già dal 30 gennaio, ossia quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l’emergenza sanitaria pubblica internazionale. Il governo ha assicurato da subito che ogni persona risultata positiva avrebbe avuto un letto di cura, indipendentemente dal fatto che avesse sintomi o meno. Ciò ha tenuto i pazienti lontani da casa, dove potevano trasmettere il virus ai membri della famiglia. Inoltre, nonostante in Senegal le cure e l’assistenza ospedaliere siano in generale a pagamento, quelle per il Covid sono state fornite gratis per tutti.
«Abbiamo visto che se non si perde tempo, è possibile, interrompere molto rapidamente la trasmissione», dice Bousso. Molto importante è non abbassare la guardia.
Il ministero della salute fornisce ogni giorno un aggiornamento puntuale sull’andamento della malattia. «L’obiettivo», prosegue il professore «è essere completamente trasparenti, mantenere le persone mobilitate e contrastare l’idea che questo virus possa non essere una minaccia seria». Il Senegal ovviamente non è fuori pericolo. Anche gli addetti ai lavori sanno che possono esserci lacune nei test e che l’andamento del virus è comunque pieno di incognite. Ma finora, il paese ha dimostrato che non ci vogliono un sistema sanitario di livello mondiale e grosse quantità di denaro per ottenere dei risultati, tenere la situzione sotto controllo e ottenere il secondo posto dopo la Nuova Zelanda. Nel momento attuale, di certo, non è poco.
(Stefania Ragusa)
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