Il sindaco del Plateau, il municipio più centrale di Dakar, ha aperto la discussione pochi giorni fa: ci sono in città diverse strade dedicate ad autorità coloniali francesi ed è arrivato il momento di fare una riflessione comune attorno alla possibilità di rinominarle, dando spazio a figure rilevanti e autoctone. Alioune Ndoye ha quindi proposto al consiglio municipale di istituire una commissione ad hoc, che dovrebbe comprendere sociologi, urbanisti, artisti e anche “sapienti”, ossia anziani e religiosi che custodiscono la memoria della città.
Sulla sua pagina FB si è sviluppato un dibattito partecipato, interessante e, a tratti, divertente perché animato dallo humor senegalese (varie persone si sono autonominate per farsi intestare una strada, faccendo appello, per esempio, alla quantità di tasse pagate al comune…).
La proposta del sindaco è stata accolta con favore, spirito critico e nessuna facile partigianeria. Commenta, per esempio, l’economista Kadialy Gassama: «Tutto questo va molto bene. Dobbiamo però evitare di muoverci seguendo l’onda. Il rischio sarebbe cadere in un nazionalismo populista alla Trump o alla Marie le Pen. Così come ci sono senegalesi illustri ricordati e apprezzati in altri Paesi, noi non dobbiamo pensare di cancellare i tanti cittadini stranieri meritevoli che hanno fatto cose importanti per il Senegal».
Gassama cita il governatore generale dell’Africa Occidentale Francese (AOF), Joost Van Vollenhoven, a cui a Dakar era stata dedicata una scuola oggi intestata allo statista Lamine Gueye. Van Vollenhoven, come è noto, rifiutò di procedere al reclutamento di altri soldati africani nell’esercito francese, durante la carneficina della Grande Guerra e per questo fu mandato a combattere e a morire in prima linea sulla Marna.
Altri commenti hanno messo in evidenza la necessità di non limitarsi al Plateau ma di coinvolgere tutti i comuni che insistono sulla capitale. Ma su questo non c’è unanimità. Il consiglio municipale di Gorée, l’isola degli Schiavi inserita dall’Unesco tra i patrimoni dell’umanità, dopo avere esaminato la questione, ha preferito per esempio non modificare la toponomastica: è vero, le strade portano al 90% nomi legati al passato coloniale, ha spiegato il sindaco Agustin Senghor. Ma affiancando le iscrizioni con tutte le spiegazioni del caso, lasciare tutto com’è adesso, è una scelta che serve a ricordare.
La questione dei nomi ovviamente si intreccia con quella delle statue. A Saint Louis, l’antica capitale dell’AOF, nel 2017, una tempesta di vento aveva fatto cadere quella dedicata all’ex governatore Louis Faidherbe, che certo non può essere annoverato tra gli stranieri che hanno fatto qualcosa di buono per il Senegal. In quell’occasione la società civile si era espressa già favore della rimozione della statua e l’amministrzione era stata invitata a prendere una posizione, per evitare iniziative individuali. Le proteste di questi giorni hanno riportato il tema in auge. Tanto che l’imam della Grande Moschea della città, Cheikh Ahmed Tidiane Diallo, durante un sermone di pochi giorni fa, ha ricordato in modo dettagliato le responsbailità di Faidherbe e chiesto alle autorità cittadine di non indugiare più. Anche Malick Ndiaye, sociologo, docente e ricercatore dall’Università Cheik Anta Diop di Dakar, è favorevole alla rimozione e trova particolarmente offensivo il fatto che il monumento sia prossimo a una scuola intitolata proprio a una delle vittime più illustri del governatore, il leader religioso El Hadj Omar Tall. Ndiaye ritiene tuttavia che in questo come altri casi non ci si possa fermare alla superficie delle cose. Rimuovere la statua di Faidherbe non serve se contestualmente non si estirpa la sua eredità più infestante: la massoneria. «L’elenco dei senegalesi aderenti dovrebbe essere finalmente reso pubblico. I massoni del Senegal e anche quelli presenti in altri paesi africani, come il Gabon e la Costa d’Avorio, dovrebbero uscire dai loro nascondigli», ha dichiarato in un’intervista rilasciata al sito Dakaractu. «Quello che impedisce oggi al Senegal di progredire non è una statua ma la massoneria».
In questo clima di ripensamento e riflessione, c’è anche chi ha deciso di affrontare un tema che nella coscienza senegalese rappresenta una sorta di tabù: la memoria dei tirailleurs, il corpo dei fucilieri dell’esercito francese creato da Faidherbe a fine ‘800 e formato essenzialmente da africani. Lo storico e scrittore Fadel Dia, un intellettuale che da quando è in pensione si è preso molte volte la libertà di andare controcorrente, ha pubblicato sul suo blog un intervento che inizia così: «Sono ben consapevole che con queste parole sto infrangendo un tabù, ma il nostro paese coltiva tabù come fa con le arachidi, senza rendersi conto che a volte si tratta di prodotti obsoleti, improduttivi, sfiniti o invendibili. Ciò non ci impedirà però di affrontare la seguente questione: possiamo accanirci contro gli indifendibili conquistatori coloniali e contemporaneamente issare su un piedistallo quelli che – talvolta contro la loro volontà – sono stati per anni i loro instancabili bracci armati?» (per chi volesse qui si può leggere il resto).
Insomma, la morte di Floyd, le proteste, le statue sembrano avere portato in Senegal un vento nuovo, fatto non (solo) di fermento iconoclasta, ma anche e soprattutto di domande talvolta scomode, proposte concrete, riflessioni e autocritica, ossia gli ingredienti indispensabili per un cambiamento reale e verso il meglio.
(Stefania Ragusa)