Siamo a Toubacouta, al confine nord tra Senegal e Gambia. È l’ora del tramonto e sulle sponde del fiume Saloum cominciano a radunarsi decine di ragazzi. È una serata importante, si terrà un torneo di lotta senegalese, chiamata anche laamb, e l’atmosfera è concitata. I lottatori provengono dai villaggi vicini e appartengono a diverse etnie (sérère, wolof, mandinka) e ognuno di loro porta con sé il suo seguito di sostenitori. La lotta senegalese ha origini antichissime, risalenti all’antico Egitto, ed è uno sport popolare quanto il calcio: i premi dei campioni che riescono a vincere nelle arene della capitale Dakar raggiungono cifre altissime.
Calata la sera, il torneo comincia. Vince chi per primo atterra l’avversario, di schiena o con entrambe le mani e le ginocchia sulla sabbia. Bambini e ragazzi si affollano intorno all’arena e l’arbitro fatica a tenerli lontano dal centro dell’azione, incoraggiano continuamente il proprio paladino e l’adrelanina si sente nell’aria. Dall’inizio alla fine del torneo i suonatori di djembe non smettono mai di suonare a un ritmo ossessivo e ipnotico. Ai bordi dell’arena alcuni ballano, altri riprendono con i cellulari ogni scontro, c’è chi prende in giro il perdente e altri che ridono contenti della vittoria di un combattente. La sabbia sollevata dai lottatori circonda l’arena e gli spettatori.
Quando durante l’ultimo scontro uno dei due sfidanti riesce ad atterrare il proprio avversario, comincia l’invasione dell’arena e i festeggiamenti per la vittoria. Il vincitore riceve come primo premio un sacco di cento chili di riso e un piccolo premio in denaro, ma sicuramente da ora in poi continuerà a sognare di raggiungere le grandi arene dei professionisti a Dakar. Quando anche i djembe smettono di suonare e il pubblico si disperde, i bambini più piccoli iniziano a lottare tra di loro, giocando e imitando i loro compagni più grandi.
(Mara Scannicchio)