Siamo ancora lontani dallo sconfiggere la fame nel mondo. La pandemia, anzi, ha fatto crescere di ben 130 milioni il numero di persone malnutrite. Colpa di un sistema produttivo sbagliato che accresce le diseguaglianze, impoverisce i territori e relega le comunità contadine ai margini delle politiche alimentari. E i cambiamenti climatici sono destinati ad accrescere il divario tra ricchi e poveri. La soluzione? Rimettere i produttori locali e le loro comunità al centro della governance internazionale del cibo
di Italo Rizzi
Il 28 luglio si è chiuso a Roma il pre-vertice dell’ONU sui sistemi alimentari in preparazione del Vertice dei capi di Stato che si terrà a New York a settembre. L’obiettivo è quello di “implementare le trasformazioni dei sistemi alimentari in modo che diventino più sostenibili, equi, resilienti e nutrienti” ovunque nel mondo e quindi di contrapporre alla piaga della malnutrizione e all’impoverimento generato dalla crescente ineguaglianza un costruttivo dialogo e impegno per realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile ed in particolare quello della ‘fame zero’.
I 500 delegati provenienti da 108 Paesi, tra cui 62 ministri, oltre ai circa ventimila partecipanti collegati online da 190 nazioni, hanno rappresentato le rispettive posizioni, consapevoli che una percentuale ancora troppo alta di popolazione mondiale ha problemi di accesso ad una dieta alimentare adeguata e che la pandemia nel 2020 ha fatto crescere di ben 130 milioni il numero di persone malnutrite nel mondo.
Forti sono state le critiche al percorso del pre-vertice, disseminato di ostacoli dentro e fuori le istituzioni. A evidenziarne le contraddizioni sono molte organizzazioni contadine, movimenti sociali, popolazioni indigine, scienziati indipendenti e anche strutture di supporto e coordinamento alla stessa FAO.
Se molta attenzione è stata data al progresso tecnologico e digitale indispensabile in agricoltura per aumentare la produttività e per favorire i processi di adattamento all’accelerazione del cambiamento climatico, minore considerazione è stata data alla necessità di una distribuzione mondiale di tali benefici, in particolare lì dove vivono le comunità produttrici e le realtà contadine. Lo stesso vale per le condizioni e le decisioni politiche indispensabili per garantire loro pari opportunità ed eguaglianza di accesso, facendo uscire i produttori locali dal ruolo marginale cui sono relegati, riconoscendo il loro valore.
Tali critiche mettono sotto accusa il rischio di un cambiamento antidemocratico della governance del Sistema Internazionale del Cibo, a causa del focus troppo centrato su soluzioni tecnologiche e produttivistiche per risolvere problemi in realtà ancorati a dinamiche di ineguaglianza, ingiustizia e di impoverimento.
La rete di Ong italiane LINK2007 condivide gran parte di questi argomenti.
L’Italia ha dimostrato una grande vivacità sul tema, mettendo in atto un forte sforzo diplomatico nel tentativo di creare una convergenza di processi politici in particolare tra il G20, il pre-vertice sui sistemi alimentari, il Vertice Finance in Common che si terrà ad ottobre in Italia e la COP 26 sul clima di novembre. Che l’Italia voglia giocare un ruolo propulsivo e trasformativo è testimoniato anche da alcuni primi risultati ottenuti durante gli incontri ministeriali del G20, quali ad esempio la nuova regolamentazione per una prima tassazione su base globale delle imprese multinazionali, superando il tradizionale criterio di tassazione del reddito fondato sulla residenza fiscale del contribuente, o l’accordo di Napoli sulla lotta ai cambiamenti climatici.
È anche grazie all’iniziativa italiana che i ministri degli Esteri e dello Sviluppo del G20 hanno prodotto la dichiarazione di Matera “per far fronte agli ostacoli per il raggiungimento dell’obiettivo fame zero” come ha dichiarato la viceministra degli Esteri Marina Sereni.
In preparazione al pre-vertice di Roma la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo ha coordinato i tre dialoghi indipendenti italiani, uno dei quali organizzato e animato da LINK 2007 insieme a Slow Food e alla Rete del cibo locale, che ha visto la partecipazione di esponenti del mondo della produzione agricola italiana con le principali organizzazioni di categoria, della ricerca, dell’impresa e delle reti di cooperazione internazionale che hanno congiuntamente lavorato per elaborare contributi e proposte del “Sistema Italia”.
In particolare il dialogo indipendente sui sistemi locali del cibo coordinato dal Giaime Berti per la Rete italiana delle politiche locali del cibo, a cui hanno contribuito Slow Food, The Economy of Francesco e LINK2007, è stato importante per sostenere sempre maggiormente un modello di produzione e di fruizione che per mezzo del cibo valorizzi le specificità dei territori e dei loro patrimoni culturali, socio-economici e di biodiversità. Riaffermando la centralità delle politiche pubbliche nel garantire sistemi alimentari basati sui diritti e sulla transizione agro-ecologica a favore dell’agricoltura familiare (che nel mondo produce oltre un terzo del cibo e che coinvolge oltre il 75% della popolazione dell’Africa rurale) e per superare il modello produttivista, i cui esiti negativi sull’ambiente e sulla salute sono stati resi ancor più evidenti dalla crisi pandemica. Siamo orgogliosi che il tema del cibo di comunità e dei sistemi locali sia rimasto presente nella narrativa portata avanti dal nostro paese al pre-summit romano.
L’elaborazione di una sintesi concettuale e la proposta di un nuovo modello di collaborazione è un risultato intermedio importantissimo, che necessita di ulteriori sforzi per contribuire ad orientare l’azione del ‘Sistema Italia’ e delle sue istituzioni soprattutto nei confronti delle Nazioni Unite e dell’Europa. Indubbiamente, è lì che si gioca la grande partita del riorientamento dei sistemi di governance del cibo, per rendere le istituzioni meno scalabili dagli interessi delle grandi imprese globali ed ostaggio di un’agenda troppo incentrata su soluzione tecnologiche che non scalfiggono le dinamiche di impoverimento.
Al Vertice di New York, a settembre, l’Italia dovrà presentarsi come ‘Sistema Paese’, consapevole dei limiti che la complessità del sistema delle Nazioni Unite e dei differenti interessi globali continuerà a produrre, ma decisa a presentarsi come modello di collaborazione tra i mondi della produzione, della ricerca, della solidarietà e cooperazione internazionale, del consumo responsabile, delle istituzioni nazionali e locali.
(Italo Rizzi, Direttore dell’Ong LVIA, associata alla Rete LINK2007)