L’annullamento delle elezioni in Kenya è una notizia preoccupante per due motivi. Ovviamente per ciò che potrà accadere nel paese dal puynto di vista di disordini e violenze che potrebbero travolgere le incontrollabili baraccopoli delle principali città. E in secondo luogo perché evidentemente nell’establishment politico cresce una certa opposizione ai due padroni del paese: il presidente in carica Uhuru Kenyatta e il suo vice William Ruto.
Le elezioni erano state vinte da Kenyatta con il 54 per cento dei voti, ma la loro regolarità era stata subito contestata dal principale sfidante, lo storico oppositore Raila Odinga, che aveva fatto ricorso alla Corte suprema. C’erano stati disordini e scontri con, in totale, una decina di morti. Gli stessi protagonisti di oggi invece nel 2007 avevano scatenato scontri con circa mille morti e centinaia di migliaia di sfollati e per quei fatti Kenyatta e Ruto erano stati accusati dalla Corte Penale Internazionale di crimini contro l’umanità. Accusa poi decaduta per il ritiro di tutti i testimoni chiave. Qualcuno disse che erano stati letteralmente comprati dai due uomini politici.
Ora però con l’annullamento decretato dalla Corte Suprema e una nuova consultazione che si dovrà tenere entro sessanta giorni, si teme che possano scoppiare nuove violenze. Il caso del Kenya è veramente clamoroso. Innanzitutto perché è la prima volta nella storia africana che un tribunale annulla delle elezioni presidenziali. In Africa una Corte Suprema non vota mai contro il potere costituito, di solito perché è una emanazione del potere. In Kenya è accaduto e ora potrebbe accadere di tutto. La preoccupazione principale riguarda il fatto che Kenyatta e Ruto da una parte, e Odinga dall’altra non esiteranno a trasformare lo scontro in un confronto etnico. Kenyatta è un Kikuyo e Odinga un Luo. E quando l’arma etnica viene innescata di solito produce danni paragonabili alla bomba atomica con effetti che durano nel tempo.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)