Siccità, lezioni dalle oasi del Sahara

di Marco Trovato

La siccità che sta colpendo duramente l’Italia mette in discussione, oltre al nostro modello di sviluppo, la gestione collettiva e individuale delle nostre risorse idriche. In un quadro preoccupante che vede all’orizzonte razionamenti e restrizioni potrebbe essere utile guardare all’Africa e specialmente a quei contesti in cui l’acqua è da sempre una risorsa preziosissima da salvaguardare.

di Federico Monica

La crisi idrica che stiamo vivendo, con i primi razionamenti e le ordinanze che limitano l’uso per bisogni non prioritari, ci ricorda con forza quanto l’acqua sia una risorsa sempre più fragile e preziosa.

La comodità dei rubinetti sempre a disposizione ci ha portato forse a dare per scontata e inesauribile una risorsa così fondamentale, senza considerare le implicazioni di sprechi e comportamenti quotidiani poco attenti.

Oggi che si rende necessario un ripensamento complessivo del nostro rapporto con l’ambiente e con l’acqua, che interessi sia le infrastrutture strategiche sia gli stili di vita di ogni individuo, può essere utile osservare con attenzione ciò che avviene nei contesti in cui l’acqua è da sempre la risorsa più importante da proteggere e ogni goccia sprecata può fare la differenza.

Un esempio lampante sono sicuramente le città oasi che costellano la sponda settentrionale del Sahara o costituiscono le tappe di alcune delle principali piste carovaniere; luoghi in cui uomo, vegetazione e acqua convivono da secoli in un fragile ma sapiente equilibrio.

Raccogliere, distribuire, preservare

La questione dell’approvvigionamento e della distribuzione capillare delle risorse idriche è ovviamente alla base della sopravvivenza in contesti estremi come la regione sahariana. Nessuna goccia può andare perduta ed è così che nei secoli si sono sviluppati sistemi straordinari e ingegnosi per garantire l’apporto costante di acqua per coltivare e sopravvivere senza però deteriorare le riserve del sottosuolo.

Una pietra sagomata a pettine distribuisce l’acqua che fuoriesce dalle foggara nell’oasi di Timinoun,in Algeria.

Il sistema più diffuso è sicuramente quello dei tunnel drenanti sotterranei, chiamati a seconda delle regioni Khettara, Foggara o Qanat: si tratta di una serie di pozzi scavati a qualche decina di metri uno dall’altro e uniti fra loro da un tunnel sotterraneo che ha il compito di intercettare la falda acquifera, solitamente ai piedi di un’altura, e con una lievissima pendenza di trasportare l’acqua fino all’oasi; un percorso che in alcuni casi può superare i quindici chilometri.

L’acqua resta quindi nel sottosuolo, protetta dall’evaporazione, dalla sabbia e da eventuali contaminazioni per poi raggiungere la superficie in corrispondenza dei giardini coltivati. Qui il condotto di irrigazione passa attraverso una particolare pietra a pettine che ha il compito di separarlo equamente (la distribuzione equa fra nuclei familiari è fondamentale anche per l’equilibrio sociale dell’Oasi) in piccoli canali a cielo aperto detti Seguia, che alimentano piccoli bacini diffusi fra le coltivazioni o reti ancora più capillari.

Tecnologie tanto ingegnose quanto semplici che raccontano di una sapienza antica basata sul mantenimento di un equilibrio perfetto fra la disponibilità di risorse e il loro utilizzo.  

Un’architettura attenta al clima e alle risorse

Anche la struttura delle città nelle zone con clima estremo e con scarse precipitazioni è interamente pensata per aumentare il comfort degli ambienti interni e salvaguardare le risorse. Ogni elemento, dalla forma urbana al dettaglio costruttivo apparentemente insignificante, contribuisce alla missione di creare ambienti freschi e arieggiati.

Le città in questi contesti sono quindi estremamente compatte, con case a più piani addossate l’una all’altra e vicoli strettissimi, sufficienti appena per il passaggio delle persone o delle bestie da soma. Questa disposizione permette agli edifici di ombreggiarsi uno con l’altro evitando che le pareti siano colpite direttamente dai raggi del sole, allo stesso tempo l’orientamento delle vie principali è spesso studiato in funzione del vento.

L’interno di una tipica casa del Mozab, in Algeria, costruita con materiali poveri ma isolanti al caldo

L’aerazione è infatti un elemento fondamentale anche per quanto riguarda gli ambienti interni che spesso sono caratterizzati da finestre strette a causa dei muri massicci e della necessità di limitare il passaggio del calore. Di conseguenza l’architettura tradizionale in diverse aree desertiche ha sviluppato le cosiddette “torri del vento”: semplici aperture in copertura o, a volte, alti camini decorati che tramite canali verticali portano l’aria al piano terra; qui, grazie alla presenza di una piccola cisterna o di un catino pieno d’acqua l’aria si raffresca creando un moto convettivo che garantisce la ventilazione naturale degli ambienti.

Al labirintico e angusto piano della strada si contrappone la parte alta delle città, dove le centinaia di terrazze che coprono ogni edificio sembrano formare un’enorme piazza a più livelli che si anima al calar del sole. Questi spazi vengono utilizzati per essiccare i cereali, per cucinare e nei mesi caldi anche per dormire, mentre la leggera pendenza del pavimento durante le rare piogge permette di convogliare l’acqua piovana in cisterne interrate.

Il ruolo del verde

Le città sono costruite in posizione adiacente agli appezzamenti coltivati, prestando attenzione a non sottrarre suoli preziosi per l’agricoltura e beneficiando della presenza del verde: l’ombra delle palme e i piccoli corsi d’acqua corrente creano infatti un microclima completamente diverso dall’aridità implacabile del deserto.

La palma da dattero si oppone all’avanzata delle dune e contribuisce a mantenere l’umidità

L’ecosistema di molte oasi si basa sulla compresenza di varie coltivazioni, l’una a supporto dell’altra. In particolare le palme da dattero sono gli elementi portanti della biodiversità: grazie alla loro altezza e alla folta chioma garantiscono infatti l’ombra al terreno sottostante durante le ore più calde. Questo permette di coltivare alcuni alberi da frutto e più in basso ortaggi, cereali o foraggi che diversamente verrebbero rapidamente bruciati dal sole.

Anche una volta seccate le palme non perdono il loro ruolo di protezione: i rami vengono infatti utilizzati per realizzare gli afreg: dune protettive che circondano le coltivazioni e gli edifici per proteggerli dal rischio di insabbiamento.

Riscoprire il valore dell’equilibrio

Acqua, agricoltura, ambiente costruito, tutte tessere di un mosaico delicato che concorrono reciprocamente alla sopravvivenza di un ecosistema unico. Non a caso le oasi abbandonate a causa delle migrazioni tendono a desertificarsi e progressivamente a scomparire del tutto.

Oltre alla riscoperta di aspetti tecnici e tradizioni sempre utili le lezioni principali che questi contesti fragili possono insegnarci riguardano proprio la necessità improrogabile di perseguire il mantenimento di un equilibrio ambientale che non vada a deteriorare ulteriormente le risorse disponibili.

Oggi che ogni luogo sembra improvvisamente divenire fragile è quanto mai necessario riscoprire il valore dell’equilibrio attraverso approcci anche lontani dai nostri contesti ma che dimostrano l’importanza del preservare e del prendersi cura.

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