“Come sempre ci si chiede se qualcosa si poteva evitare e se la saggezza umana avrebbe potuto salvare tante vite umane e tante cose costruite con fatica e duro lavoro” scrive all’Agenzia Fides p. Gerardo Caglioni, missionario saveriano con una lunga esperienza in Sierra Leone, commentando la tragedia accaduta nella notte tra il 13 e il 14 agosto, quando un costone della montagna chiamata “il filone di pane” è crollato sul villaggio di Regent provocando almeno 500 morti. “Questo villaggio è all’origine della comunità criola della Sierra Leone ed è stato uno dei primi centri dove si erano stabiliti dei gruppi di schiavi liberati. Lì si era formata anche la prima scuola cristiana di queste comunità, la “Christian Institution”, che presto si svilupperà e diventerà (in altra località lungo il mare) la prima università dell’Africa nera, il “Fourah Bay College”. Questa si meriterà presto l’ambito titolo di Atene d’Africa” sottolinea p. Caglioni. Ecco le sue considerazioni su quanto accaduto:
“Per chi ha vissuto, come me, per anni in quella terra ed ha operato intorno a quell’area tanto da conoscerla un poco, viene subito alla mente lo spettacolo di quasi 40 anni fa e quello del mio ultimo viaggio dello scorso anno. Intere colline rapate a zero e private di tutto il verde che una montagna o una collina necessariamente porta sempre con se. Anni fa vedevamo fumi segnalatori di attività di disboscamento per la preparazione della carbonella che serviva per cucinare. In tanti anni la foresta pluviale è stata inghiottita e tutto ciò che conteneva il terreno è venuto semplicemente meno. Ma se poi si pensa che su quelle colline pelate si sono costruite case di ogni dimensione senza un piano regolatore, senza strade e drenaggio o fogne, senza un minimo di legge per contenere ogni genere di abuso edilizio.
Dove sono le scuole, gli ambulatori, i luoghi della comunità e di rifornimento? Dove attingono acqua per le varie necessità, soprattutto nel periodo secco? Tanti interrogativi senza risposta, nessun piano di crescita e di sviluppo, nessun piano per i momenti di emergenza.
Passando ad un altro aspetto, a quello della spazzatura. Ogni anno si vedono per le vie della città di Freetown montagne di spazzatura con plastica di ogni tipo. Nella stagione secca si “gusta” l’odore asfissiante del materiale che si decompone per la calura. Durante le piogge, spesso, si vede tutta la città, posta sui pendii di un grosso promontorio che si spinge in mare, inondata da ammassi di cose varie che turano i canali di scolo e allagano parti essenziali delle vie di comunicazione.
Infine, si deve dire, i governanti devono assumere le proprie responsabilità nell’amministrare questo territorio che contiene un milione e mezzo di abitanti e che sta per scoppiare come una bomba preparata per esplodere. Si dovrà pianificare e limitare l’ingresso a nuovi abitanti per concedere un minimo di sicurezza e di vita decente a chi già vi risiede. Una pianificazione per le aree occupate va ripensata e una politica della popolazione implementata. Non si deve piangere per gli errori non corretti proprio quando si possono e si devono evitare” conclude.
(21/08/2017 Fonte: Agenzia Fides)
Sierra Leone, le possibili cause della tragedia di Regent
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