Tutto sbagliato, tutto da rifare. Gli avversari del presidente Mohamed Farmajo contestano l’organizzazione delle elezioni legislative e presidenziali che dovrebbero tenersi a febbraio in Somalia.
I 14 candidati hanno rilasciato una dichiarazione in cui hanno messo in allerta il capo dello Stato: «O si cambia il sistema, oppure terremo elezioni parallele». Tra i 14 ci sono personalità autorevoli del Paese: gli ex presidenti Sharif Sheikh Ahmed e Hassan Sheikh Mohamoud, l’ex primo ministro Hassan Ali Khaire, il presidente del parlamento Sharif Hassan Sheikh Aden, l’ex ministro delle Finanze Hussein Abdi Halane, l’ex ministro degli Interni Abdikarim Guled.
Ma che cosa chiedono? La disputa è legata al complesso sistema elettorale somalo. La Somalia tiene elezioni indirette in cui i clan scelgono i membri del parlamento attraverso elezioni speciali. Una volta eletta l’assemblea, i 275 deputati e i 59 senatori eleggono il presidente.
Nella dichiarazione comune in 18 punti firmata dai candidati di opposizione viene chiesto di smantellare il Comitato elettorale nazionale (Nec) e il Comitato per le controversie elettorali (Edc), formati a ottobre per gestire le elezioni. Questi organismi, secondo gli oppositori, sarebbero stati scelti a livello federale e sarebbero pieni di membri dei servizi di intelligence e di alcuni funzionari fedeli all’attuale presidente. Si chiede, inoltre, di dar vita a «nuovi comitati nominati sulla base del consenso».
Oltre alla composizione dei comitati, i 14 hanno sollevato anche la delicata questione delle elezioni in Somaliland, regione settentrionale autodichiaratasi indipendente nel 1991, e nel Benadir, la regione di Mogadiscio. Il gruppo di oppositori vuole che anche i comitati delle due comunità siano gestiti da individui scelti localmente invece che dallo Stato.
Mostrando una sorta di sfiducia, i candidati hanno proposto: «L’elezione dei 46 legislatori del Somaliland e dei 5 Banadiri si tenga in un complesso all’interno della zona di sicurezza esclusiva dell’aeroporto Aden Abdulle di Mogadiscio alla presenza dei candidati, dei rappresentanti della comunità internazionale, delle forze di polizia somale e della missione dell’Unione africana in Somalia».
Il documento ha consigliato i leader federali di astenersi dal tenere elezioni senza il consenso di tutte le parti interessate e hanno anche chiesto le dimissioni del direttore della National Intelligence and Security Agency, Fahad Haji Yasin Dahir, «per raggiungere la neutralità delle istituzioni».
Queste tensioni, secondo Omar Mahmood, analista somalo dell’International Crisis Group, «potrebbero influenzare il processo elettorale». «Con la tempistica in atto le elezioni potrebbero slittare – ha detto Mahmood in un’intervista alla stampa locale -. Abbiamo già visto alcuni rinvii legati alla commissione elettorale federale, allo status della commissione elettorale è ancora in sospeso e ci sono alcune controversie sui nomi che sono stati presentati».
Secondo Abdi Ali Hassan, membro dell’attuale parlamento somalo, il modello elettorale concordato dai leader è un ostacolo al progresso del Paese. A suo avviso le elezioni indirette sono piene di corruzione, giochi di potere, nepotismo, e anche i gruppi terroristici potrebbero avere voce in capitolo.
Mahmood sostiene che, se la scadenza non potrà essere rispettata, i leader somali dovrebbero concordare una proroga di alcuni mesi ai loro mandati per consentire più tempo per condurre un’elezione credibile. Un’ipotesi che non dispiacerebbe ad alcuni politici somali.
(Tesfaie Gebremariam)