di Céline Nadler
Riemergono nuove preoccupazioni sul recupero del controllo sul territorio dalle forze di sicurezza della Somalia e sulla capacità del governo di reprimere l’insurrezione durata 16 anni e guidata dai militanti legati ad al-Qaeda, dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso negli scorsi giorni di sospendere per un periodo di tre mesi il ritiro delle truppe dell’Unione africana dalla Somalia (Atmis), composta da 19.000 uomini. Un ritiro graduale approvato all’unanimità nello scorso aprile per consegnare progressivamente le basi operative avanzate alle forze di sicurezza federali entro dicembre 2024.
Dopo iniziali progressi significativi con le truppe federali, appoggiate dalle milizie locali, dalle forze dell’Ua e dagli attacchi dei droni statunitensi, che hanno recuperato aree di territorio precedentemente detenute dal gruppo estremista al-Shabaab, appare in fase di stallo l’offensiva dell’esercito contro il gruppo islamista, che continua a compiere attacchi in varie parti della Somalia, compresa nella capitale Mogadiscio, nonché nei Paesi vicini come il Kenya, dove i suoi combattenti hanno preso di mira civili e agenti di sicurezza lungo le città di confine.
L’offensiva è stata lanciata nell’agosto 2022, quando il governo somalo ha deciso di intraprendere una “guerra totale” contro al-Shabaab, unendosi alle milizie dei clan locali. Per sei mesi, l’esercito e le milizie dei clan – con il supporto aereo delle forze Atmis, degli Stati Uniti e dei droni turchi – hanno riconquistato il territorio nella Somalia centrale, conquistando in particolare i bastioni islamici ad Adan Yabal e Harardhere. Ma i progressi dei soldati si sono arrestati dopo che i miliziani hanno sfruttato alcuni fattori a loro favore, tra cui, come ricordano gli osservatori, la morte in combattimento di un importante comandante dell’esercito, l’arrivo di nuovi battaglioni inesperti e il ridotto coinvolgimento delle milizie dei clan.
Il presidente Hassan Sheikh Mohamud si è recato in prima linea per rilanciare le operazioni sul campo, dichiarando il 18 agosto che il suo governo avrebbe “eliminato” gli jihadisti entro la fine dell’anno. Tuttavia, solo dopo una settimana, le forze somale subirono una schiacciante sconfitta nella città di Cowsweyne, in circostanze poco chiare. Un episodio costato pesanti perdite tra i soldati federali, secondo analisti e funzionari governativi, che vanno da diverse dozzine a più di 100 vittime, con i miliziani che hanno anche sequestrato veicoli armati, armi e altre attrezzature. “La risposta del governo all’attacco è stata così confusa che altre forze si sono ritirate per protesta da molte città che erano state catturate. Il morale delle forze era molto basso”, confiderà in quei giorni all’Afp, a condizione di anonimato, una fonte con conoscenza di questioni di sicurezza.
Dopo il ritiro da città chiave come el-Dheer, Galcad e Masagaway, l’offensiva è rimasta ferma. Quanto ad al-Shabaab, è difficile valutare se il gruppo ribelle si sia effettivamente indebolito senza alcuna valutazione indipendente disponibile poiché entrambe le parti sono impegnate in una guerra di comunicazione.
Certo, il governo somalo vanta la cattura di vaste aree di territorio. Tuttavia, “utilizzare le conquiste territoriali per misurare il successo contro al-Shabaab è un parametro insufficiente per un gruppo che conduce una guerra in stile guerriglia”, ha affermato Omar Mahmood, analista senior dell’International Crisis Group (Icg).
Nonostante le perdite inflitte dai soldati, al-Shabaab, il cui numero era stimato tra 7.000 e 9.000 uomini dall’Atmis nel 2022, ha mantenuto la sua capacità di colpire obiettivi civili e di sicurezza. “Il gruppo è riuscito ad aumentare il ritmo delle operazioni, compresi attacchi complessi”, ha affermato nel suo ultimo rapporto un gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Somalia, elencando 14 di questi “attacchi complessi” – che includono un bombardamento prima di un assalto via terra – tra gennaio e agosto di quest’anno, rispetto ai quattro registrati nel 2022. In un violento attacco avvenuto a maggio, i militanti hanno preso d’assalto una base dell’Atmis a Bulo Marer, uccidendo almeno 54 soldati ugandesi.
L’intelligence somala ha recentemente riferito di tensioni interne nel movimento ribelle – tra i sostenitori di Ahmed Diriye, l’”emiro” del gruppo, e il suo secondo in comando Mahad Karate. Ma gli analisti invitano alla cautela, in quanto i miliziani appaiono uniti sul campo di battaglia. “Questa è una narrazione che è stata spesso usata e esagerata” dalle autorità, ha precisato Mahmood dell’Icg.
Nonostante gli insuccessi, il governo prevede di avviare la seconda fase della sua offensiva nel sud della Somalia, storicamente roccaforte jihadista. Ma gli osservatori temono che la spinta ad espandere le operazioni avrà un prezzo. “Una seconda fase affrettata dell’offensiva mette probabilmente a rischio il successo ottenuto finora”, ha avvertito il comitato delle Nazioni Unite. Una ridistribuzione delle forze dal centro al sud della Somalia lascerebbe la precedente regione “vulnerabile e senza protezione sufficiente”, afferma il rapporto.
Kenya, Etiopia e Gibuti si erano precedentemente impegnati ad unirsi alla Somalia nell’esecuzione dell’Operazione Leone Nero, ma la loro partecipazione rimane incerta. Inoltre i danni e gli sfollati causati dalle piogge di ottobre-dicembre, amplificate dal fenomeno El Nino, costringono a una pausa sul campo di battaglia. Tutti “ostacoli significativi” nella lotta contro al-Shabaab, che hanno spinto il governo della Somalia a chiedere alle Nazioni Unite una sospensione di 90 giorni nel ritiro dei soldati dell’Atmis.
Questo rinvio offre tuttavia l’opportunità ai soldati federali di riorganizzarsi per sviluppare una strategia adeguata e completare l’offensiva… per quanto lascia anche più tempo ai miliziani di al-Shabaab per riprendersi dalle recenti sconfitte.