Somalia, «La notizia siamo noi»

di claudia
somalia giornalista

di Gianfranco Belgrano – foto Undp Somalia

La Somalia raccontata dalle giornaliste di Bilan, radio-tv indipendente che sfida il terrore e demolisce i pregiudizi. Bilan è la prima (e finora unica) redazione tutta al femminile di Mogadiscio, città tra le più rischiose al mondo per chi esercita l’attività giornalistica. Più forti della paura e delle minacce, armate di smartphone e taccuino, le sue croniste provano ogni giorno a raccontare pezzi di Somalia, storie di violenze e storie che gettano uno sguardo positivo sul futuro

Allo scalo aeroportuale Aden Adde di Mogadiscio si arriva dal mare, la città la si vede dall’alto, somiglia molto a quelle che si trovano lungo la stessa latitudine. Case basse, bianche, strade in terra battuta, polverose, traffico di mezzi a tre ruote. Poi, se si è stranieri, si resta “prigionieri” della zona verde attorno all’aeroporto. Uscire dallo scalo, attraversando i posti di blocco organizzati attorno a questa striscia di terra di pochi chilometri, è complesso. Hai bisogno di una scorta o di qualcuno che conosca il territorio e ti accompagni. Difficilmente si esce per i fatti propri, anche se c’è chi sostiene di averlo fatto.

La speranza di tutti è che Mogadiscio torni a essere presto una città normale, un luogo in cui non avere più paura delle bombe artigianali disposte lungo il ciglio della strada, delle autobombe parcheggiate vicino a un hotel pronte a esplodere e ad aprire la strada a un commando.

Nel frattempo, c’è un incoraggiante ritorno della diaspora. Figli di somali nati magari in Europa o negli Stati Uniti, tornati nella terra dei genitori con l’intenzione di mettersi in gioco e di dare una mano per la ricostruzione del Paese. E ci sono poi i tantissimi giovani che qui sono nati e da qui non si sono mai mossi. Un forte slancio verso un cambiamento che è cercato e desiderato. Così, accanto al presidente Hassan Sheikh Mohamud, che in questi mesi sta facendo tour in giro per il mondo perché la Somalia possa rientrare nei meccanismi della finanza internazionale e ricevere quindi investimenti allo sviluppo e non solo aiuti umanitari, ci sono storie di battaglie quotidiane combattute con armi ben diverse da quelle che ancora si sentono esplodere in giro per il Paese.

Bilan è la prima (e finora unica) redazione tutta al femminile di Mogadiscio, città tra le più rischiose al mondo per chi esercita l’attività giornalistica. Più forti della paura e delle minacce, armate di smartphone e taccuino, le sue croniste provano ogni giorno a raccontare pezzi di Somalia

Bilan, chiaro di luna

I protagonisti di questo rinnovato fermento sono giovani che spesso non hanno conosciuto altri tempi se non quelli del conflitto. E ci sono le donne. Le somale si devono muovere con una marcia in più, perché accanto ai comuni problemi legati alla sicurezza si stagliano sfide più profonde connesse alla cultura, alla società, alle differenze tra le zone rurali e le città. Ne sanno qualcosa le donne di Bilan, la prima e unica redazione giornalistica tutta al femminile della Somalia. Vederle per strada armate di microfoni e taccuino è qualcosa che toglie il fiato, qualcosa di bello e che allo stesso tempo emana coraggio. Perché di coraggio queste giovani donne ne hanno, equipaggiate come sono soltanto di una grande forza d’animo e di una profonda fiducia nella cultura e nell’informazione. La tecnologia, per fortuna, dà il suo aiuto, rendendo molto più semplici operazioni un tempo complesse; uno smartphone può diventare una telecamera portatile e all’occorrenza occultabile, un software installato su un portatile può consentire di realizzare montaggi video in poco tempo e con poca spesa.

«Bilan», dice la direttrice Fathi Mohamed Ahmed, «è un nome femminile che in somalo significa “chiaro di luna”. Con il nostro lavoro vogliamo portare la luce lì dove finora la notizia è rimasta al buio». Bilan va oltre il racconto giornalistico che finora è stato fatto dalle emittenti locali e dai giornalisti che pure hanno seguito in questi anni con determinazione le vicende politiche e securitarie, rischiando anche loro con la vita l’impegno di raccontare le violenze legate al conflitto tra truppe governative e miliziani di al-Shabaab.

Insulti e minacce

Bilan è andata a esplorare nuovi territori, è andata a toccare argomenti tabù come le violenze sulle donne, gli abusi sessuali ai danni di giovani orfane o i diritti non rispettati delle persone disabili. Bilan e le sue giornaliste sono entrate nei campi profughi, hanno raccontato l’altra faccia della luna, quella finora mai emersa. Ma Bilan ha cercato e raccontato anche episodi positivi, celebrando il ruolo delle donne nel mondo del lavoro, della politica, della vita sociale e culturale.

Nata nel 2022 grazie al sostegno del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), Bilan si è affermata come una voce che ha dato voce a chi finora era fuori dal coro. E non è stato facile nemmeno per loro.

«Penso che la mia passione per il giornalismo sia nata con me», racconta Fathi. «Da piccola mia nonna mi faceva ascoltare la Bbc, poi quando sono cresciuta ho cominciato a frequentare di nascosto dai miei genitori un corso di giornalismo. Quando mio padre scoprì che invece di studiare informatica, come sostenevo, facevo ben altro, mi chiese di smettere. Alla fine però si è arreso e oggi tutta la mia famiglia è orgogliosa del lavoro che faccio». Uscendo dal nucleo familiare, però, Fathi e come lei le colleghe della redazione devono confrontarsi con una società che non è sempre pronta ad accettarle: così, accanto a chi esalta il loro lavoro, c’è anche chi le minaccia e critica pesantemente. «Quando ero incinta del mio terzo figlio», dice ancora Fathi, «la gente mi urlava contro di tornare a casa. Io però sono sempre andata avanti, grazie anche al sostegno di mio marito, e per me come per le mie colleghe la redazione è diventata un luogo sicuro in cui lavorare e dove portare anche i figli».

Un mestiere pericoloso

Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, la Somalia è uno dei luoghi più pericolosi al mondo in cui esercitare la professione giornalistica. Anzi, con oltre 50 lavoratori dei media uccisi dal 2010 ad oggi, la Somalia è la zona più rischiosa in Africa per i cronisti ed è anche il posto in cui questi omicidi vengono compiuti nella massima impunità.

Le giornaliste di Bilan ne sono consapevoli, dalla direttrice Fathi alla giornalista più giovane del gruppo, Shukri Mohamed Abdi. Per seguire i suoi sogni, Shukri ha lasciato Baidoa per Mogadiscio, sfidando le leggi del suo clan e le minacce, e oggi insieme alle altre si vede ogni giorno negli spazi che Bilan ha ottenuto dal Dalsan Media Group. «Decidiamo insieme le storie da seguire, abbiamo anche ricevuto incarichi da gruppi internazionali come la Bbc, The Guardian, El País, proviamo a privilegiare temi di interesse sociale, anche tabù, che poi sono spesso storie di sofferenza di donne e giovani», spiega Fathi, che oggi è a capo di una squadra di cinque giornaliste. «Entriamo nei campi profughi, mostriamo alla Somalia e al mondo le sofferenze dei bambini di questi campi, viaggiamo anche fuori Mogadiscio».

Le sfide più grandi? «I problemi di sicurezza e le costrizioni della nostra società nei confronti di noi donne». Armate di smartphone e tecnologie oggi facilmente alla portata, le giornaliste di Bilan stanno demolendo vecchi pregiudizi e ogni giorno provano a raccontare pezzi di Somalia, storie di violenze e storie che gettano uno sguardo positivo sul futuro. Lo fanno sui media internazionali, sui social, sui siti di informazione locale.

bilan
giornalista Bilan

Contro ogni tabù

Basta visitare il sito www.bilan.media e i canali social ufficiali della redazione per rendersi conto della forza dirompente dei racconti raccolti dalle giornaliste nei mercati, sui luoghi di lavoro e nelle case della capitale e di altre città somale. «Ai nostri microfoni raccogliamo sfoghi, confessioni e denunce inedite». A parlare sono soprattutto le donne che finalmente sono interpellate e si sentono libere di esprimersi anche su temi problematici, ritenuti tabù dalla cultura tradizionale, come la condizione femminile o i maltrattamenti dei mariti subiti nelle mura domestiche. In una società ancora fortemente condizionata da una visione maschilista, che tende a soffocare le voci delle donne, le redattrici di Bilan confezionano servizi coraggiosi, mettendoci la faccia e conoscendo molto bene quello di cui parlano. Come Shukri, che ha sfidato il suo clan e racconta le difficoltà che una donna si trova di fronte in Somalia, seguendo i propri sogni. O come Kiin Hasan Fakat, che regolarmente segue storie di sfollati e rifugiati, lei che è nata e cresciuta in un campo profughi in Kenya. Temprata da questo passato e forte della sua esperienza benché ancora molto giovane, Kiin non ha dubbi: «Le donne giornaliste sono molto più produttive dei colleghi uomini, se hanno la libertà di pensare, un luogo sicuro in cui lavorare e una piattaforma, come Bilan, attraverso cui poter esprimere le proprie idee».

Questo articolo è uscito sul numero 6/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui.

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