di Tommaso Meo
Il cinema nigeriano conquista spazio e visibilità globale. Nollywood, seconda industria al mondo per produzione, guarda all’Italia per avviare nuove coproduzioni e rafforzare il dialogo culturale. Un ponte creativo tra Lagos e Roma è possibile, ed è già in costruzione.
Il cinema italiano, da sempre attento alle dinamiche sociali, ha saputo raccontare con intensità le trasformazioni del proprio tessuto culturale e storico. Oggi, anche il cinema africano si sta affermando con crescente forza a livello globale, portando alla ribalta narrazioni autentiche e punti di vista spesso trascurati. Pur nelle differenze, entrambi condividono una missione comune: dare voce a chi è in movimento, esplorare nuove forme di appartenenza e usare il potere evocativo delle immagini per abbattere barriere e costruire ponti tra culture.
In questo momento, però, le storie sembrano nascere più in Africa — continente giovane e in crescita — che nella vecchia Europa. Lo dimostra il successo di Io Capitano, il film del 2024 di Matteo Garrone che racconta l’odissea struggente di due adolescenti senegalesi, spinti dal sogno di una vita migliore, attraverso il deserto, i centri di detenzione in Libia e il Mediterraneo.
Mentre in Italia si producono circa 250 film all’anno, per un fatturato di circa 50 milioni di euro, Nollywood — l’industria cinematografica nigeriana — realizza oltre 2.500 titoli l’anno e contribuisce al 2% del PIL nazionale. Quando nel 1992 venne coniato il termine Nollywood, pochi avrebbero immaginato che la Nigeria potesse diventare una potenza globale nel settore dell’intrattenimento, al pari di Hollywood e Bollywood. Eppure oggi è la seconda industria al mondo per volume di produzione e la terza per ricavi, dietro solo a Stati Uniti e India.
Negli ultimi anni, Nollywood ha innalzato i propri standard qualitativi: può ora contare su professionisti sempre più preparati, tecnologie avanzate e una scena creativa dinamica, popolata da attori, attrici e registi ambiziosi e motivati. È forse giunto il momento che la collaborazione tra l’Italia e l’Africa — Nigeria in testa — compia un salto di qualità.
“La coproduzione dovrà necessariamente spostarsi verso l’Africa”, ha affermato Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, durante “Visioni intrecciate: il dialogo culturale tra l’Italia e l’Africa attraverso il cinema”, una conferenza organizzata dall’Istituto per il Dialogo Italia-Africa (Idiaf) presso l’Enciclopedia Treccani. La collaborazione potrà svilupparsi su diversi livelli, dalla formazione alla distribuzione, ma — come emerso dal panel — le storie dovranno essere africane. “Più le storie sono locali, più risultano universali”, ha sintetizzato lo sceneggiatore e produttore Pietro Valsecchi, manifestando interesse personale per la produzione di un film in Nigeria.

“Storie fatte da noi, per noi” è anche il principio guida del regista etiope Yared Zeleke, che oggi vive negli Stati Uniti. Il suo Lamb è stato il primo film etiope selezionato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2015, e successivamente presentato al Toronto International Film Festival. In collegamento da Los Angeles, Zeleke ha raccontato che quel film fu possibile grazie a una produzione ghanese e al “sostegno dei nostri fratelli e sorelle europei”, che credettero nella forza della storia.
Il valore delle storie è stato il motore anche della crescita di Nollywood, come ha spiegato Ali Nuhu, attore, regista e direttore generale della Nigerian Film Corporation. “All’inizio giravamo su DVD o VHS, spesso con risparmi personali e grazie alla generosità di amici e familiari. È così che siamo riusciti a contenere i costi”, ha raccontato a Roma. “La gente si è subito riconosciuta in quei racconti — sul nostro stile di vita, le difficoltà quotidiane — e questo ha favorito una rapida diffusione in tutta l’Africa”.
Con il tempo, i registi si sono trasformati in veri produttori indipendenti, e anche il governo ha iniziato a sostenere il settore. Ma le sfide non sono finite. “I film in cassetta non arrivavano alle grandi sale nei centri urbani, ma venivano proiettati nei centri di visione, piccoli spazi diffusi anche nelle aree rurali, spesso privi di elettricità. I gestori si procuravano un generatore e accendevano tutto al momento della proiezione. Questi luoghi, capillari, generavano entrate importanti”.
Oggi esistono multiplex in diverse aree del Paese, ma la maggior parte delle sale resta concentrata a Lagos. “Abbiamo circa 336 schermi, e il 74% è lì”, precisa Nuhu. In altri Stati, come Kano, il sistema dei centri di visione è stato istituzionalizzato, diventando il principale canale di distribuzione per molti film. “I titoli di serie A vanno al cinema, quelli più underground o a basso budget vengono proiettati lì”.
Anche grazie all’impegno dei registi, le piattaforme di streaming — Netflix, Amazon Prime e altre — hanno iniziato a interessarsi al cinema nigeriano. Nuhu e la Nigerian Film Corporation puntano ora a dare visibilità internazionale ai film locali, e l’Italia può giocare un ruolo importante.
“Immagino un futuro in cui un regista nigeriano possa venire in Italia, proiettare i suoi film, organizzare una grande prima visione”, afferma Nuhu. “Stiamo anche lavorando a coproduzioni: film che iniziano e si concludono in Nigeria, oppure che partono dalla Nigeria e trovano il loro epilogo in Italia”.
Foto di apertura: YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images