Andre Iguodala, madre americana e padre nigeriano, cresciuto nell’illinois, in un contesto medio-borghese più protetto rispetto ad altri ma comunque esposto al razzismo, è uno dei più famosi e amati giocatori Nba in attività.
La casa editrice Add pubblica in questi giorni Il sesto uomo, la sua autobiografia, scritta in collaborazione con Carvell Wallace, giornalista del New York Times. Sesto uomo perché Iguodala comincia(va) sempre le sue partite in panchina, unendosi al gioco in un secondo tempo e dimostrando che un arrivo dalle retrovie non preclude la possibilità, in senso concreto e metaforico, di essere protagonisti della partita.
Rispetto alla sua storia e al momento in cui ha riconosciuto il suo destino nel basket, dice: «Quell’estate per la prima volta mi sono sentito in balia di un potere invisibile, una libertà che ti rende capace di tutto. La partita sembra rallentare, i dolori spariscono, i canestri diventano grandi come vasche da bagno, i difensori piccoli come bambini. Avevo sentito quella sensazione per un tempo molto breve, e mi aveva aperto un universo di possibilità nel quale, in un futuro lontano, mi sarei potuto costruire una carriera, titoli e trofei e adesso un libro in cui posso raccontare chi sono e da dove sono arrivato».
In questo momento Iguodala non ha una squadra: se lo stanno contendendo le due formazioni più titolate a raggiungere le Finals: i Los Angeles Lakers di LeBron James e i cugini dei Clipper guidati da Kawhi Leonard.
Storie | Andre Iguodala e la conquista del basket
3,9K
Post precedente