Le salme avvolte nelle lenzuola vengono adagiate una accanto all’altra. Donne, uomini, bambini. Accanto ai morti ci sono i sopravvissuti – cui spetta l’onere della sepoltura – e i famigliari delle vittime, che accarezzano i sudari e mormorano litanie strazianti.
Sono immagini dell’ultimo massacro di civili innocenti compiuto in Sudan. Una strage di almeno 200 persone avvenuta nella giornata di ieri nella regione di Aljazira e addebitata ai miliziani delle Forze di Supporto Rapido, il corpo paramilitare guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, che da oltre un anno combatte contro l’esercito regolare capeggiato dal generale Abdel Fattah al Burhan.
Le vittime della strage erano tutti cittadini di un povero villaggio, Wad Alnura, puniti dai paramilitari per aver inviato membri delle famiglie nelle fila delle forze armate, aderendo al reclutamento dell’esercito, che in cambio aveva promesso di fornire alla comunità armi e protezione: promessa evidentemente che non si è tradotta in fatti concreti.
E’ l’ennesima notizia di sangue che proviene dal Sudan, dilaniato dall’aprile del 2023 da una feroce contesa di potere tra i militari, che ha frantumato il processo di democratizzazione in corso dopo la caduta del regime di Al Bashir e fatto precipitare nel baratro questo Paese cerniera tra il mondo arabo e l’Africa nera, un territorio strategico e conteso da forze straniere che alimentano la guerra.
Una guerra che sembra non esistere a guardare i grandi media occidentali, monopolizzati dalle crisi in Ucraina e Gaza. Una guerra che si consuma ogni giorno, lontano dai riflettori, nel disinteresse e nell’assordante silenzio dell’Occidente. Per approfondire le ragioni del conflitto guarda la videointervista al giornalista sudanese Mustafa Karim