Strage migranti, Sant’Egidio: «Creiamo corridoi umanitari»

di Enrico Casale
migranti

Sono decine i corpi recuperati dalla Guardia costiera libica all’indomani del naufragio di due imbarcazioni al largo delle coste libiche. Lo riferiscono le autorità di Tripoli, secondo le quali sono ancora 116 i dispersi nel naufragio di ieri.

Intanto, secondo quanto riporta l’agenzia AnsA, l’Unhcr denuncia che 84 sopravvissuti al disastro sono stati trasferiti nel centro di detenzione di Tajoura, nei pressi di Tripoli, lo stesso del bombardamento aereo di inizio mese in cui rimasero uccisi almeno 50 rifugiati.

«La sofferenza di queste persone è difficile persino da immaginare. Non ci sono parole per descrivere quanto stiano soffrendo -, racconta intanto Anne-Cecilia Kjaer, di Medici senza Frontiere, che ha assistito i superstiti del naufragio -. Un uomo originario del Sudan, recuperato in mare, ci ha detto di aver visto sua moglie e i suoi figli affogare. Era totalmente disorientato». Altri hanno raccontato di aver lasciato le coste libiche la sera di mercoledì, al tramonto, a bordo di tre barconi legati l’uno all’altro.

Da tempo le principali organizzazioni umanitarie internazionali denunciano le cattiive condizioni di detenzione dei nei centri libici e i rischi che i migranti corrono nell’attraversare il Mediterraneo centrale per arrivare in Europa. La Comunità di Sant’Egidio invoca la creazione di corridoi umanitari. «I corridoi – ha scritto, sul quotidiano Avvenire, Marco Impagliazzo, uno dei responsabili dell’organizzazione – hanno lo scopo di contrastare lo sfruttamento di uomini, donne, bambini, da parte di trafficanti senza scrupoli e di offrire un ingresso nel Paese ospitante che sia a un tempo legale e sicuro, per chi arriva e per chi accoglie. L’accesso al progetto è riservato a persone in «condizioni di vulnerabilità» (oltre a vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità). Arrivati in Italia, i profughi sono accolti a spese delle associazioni firmatarie in strutture o appartamenti ed è avviato un percorso di integrazione che comprende l’insegnamento della lingua italiana, l’iscrizione a scuola dei bambini, l’avviamento al lavoro. Parliamo di centinaia di salvati, e non di sommersi, che non hanno dovuto sfidare le onde per approdare in un Paese senza guerra, che non hanno condiviso un mese fa il destino di Óscar e Valeria e oggi delle nuove vittime nel Mediterraneo. Sembra poco, forse lo è: ma è importante che si sia aperta una strada di salvezza legale e umanitaria allo stesso tempo. Una strada dall’Italia offerta all’Europa, che è diventata una visione concreta. A chi dice che è una goccia nel mare si può rispondere che il mare è fatto di tante gocce d’acqua, ognuna delle quali è una vita salvata e non più sommersa».

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