I pirati somali sembravano sconfitti. L’Europa, ma anche la Cina, gli Stati Uniti e la Russia avevano inviato le proprie flotte per liberare lo Stretto di Aden, via commerciale di rilevanza mondiale, dalla minaccia di questi filibustieri. Ma quando ormai si pensava che la rotta che unisce l’Europa all’Asia fosse completamente libera, ecco il ritorno dei pirati. Lunedì 13 marzo, con un abile e rapido colpo di mano, un gruppetto di corsari ha attaccato una petroliera battente bandiera delle Comore, ha sequestrato l’equipaggio (otto marinai dello Sri Lanka) e ha condotto la nave in acque sicure al largo del Puntland.
Non è passato molto tempo dall’azione che i filibustieri si sono fatti vivi con l’armatore, una società di Panama che ha base anche negli Emirati Arabi Uniti, chiedendo un ingente riscatto per la liberazione degli uomini e della nave.
Il contingente militare europeo (NavFor Ue) ha immediatamente inviato proprie unità per fermare l’azione. Ma la petroliera non è stata trovata e, tanto meno, i suoi rapitori. «Il comandante ha confermato che gli uomini armati erano a bordo della sua nave e che chiedevano un riscatto per il rilascio. La forza navale dell’Ue ha ora comunicato tutte le informazioni in suo possesso ai proprietari», è scritto in un comunicato della NavFor Ue.
L’attacco e il sequestro di navi mercantili è un business mondiale. I pirati somali non sono che la manovalanza che compie, per un compenso molto basso, l’azione in mare. Ma il sequestro viene normalmente gestito da organizzazioni criminali internazionali che hanno base in Europa. Sono queste organizzazioni a trarne il maggior lucro dal riscatto.
Il primo attacco nello Stretto di Aden è del 2011. Da allora, secondo i dati del Bureau International Maritime, i pirati somali hanno condotto 237 azioni al largo della costa della Somalia, sequestrando centinaia di ostaggi.
Il pericolo di un blocco del traffico nello Stretto di Aden ha convinto europei, americani e asiatici (Cina compresa) a inviare le proprie flotte a protezione del naviglio mercantile. Anche l’Italia, a più riprese, ha inviato proprie navi militari che facevano base a Gibuti. Gli attacchi sembravano terminati. Ma lunedì, la sorpresa del nuovo assalto.