È l’ottava tornata di colloqui tra le parti in conflitto in Sud Sudan quella che si è aperta ieri ad Addis Abeba (Etiopia). Il Presidente Salva Kiir e il suo Vice e suo rivale Riek Machar cercheranno di porre fine a un conflitto iniziato nel dicembre del 2013, quando Kiir ha accusato Machar di aver organizzato un colpo di Stato. Da allora, due milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e si contano in migliaia le vittime.
Secondo un rapporto di Human Rights Watch, il conflitto è stato segnato da crimini di guerra e dall’uccisione di civili sulla base della loro etnia o della presunta appartenenza politica. Le forze governative e i gruppi armati alleati hanno compiuto omicidi, stupri e altre violenze nello Stato di Unity, nel Nord del Paese, al confine con il Sudan. «Il conflitto è caratterizzato da un livello sconvolgente di disprezzo per la vita dei civili», denuncia la Ong, che accusa le truppe governative di avere commesso crimini di guerra e probabilmente anche crimini contro l’umanità durante l’offensiva lanciata ad aprile per riconquistare il territorio e durata fino a giugno.
Alla base del conflitto ci sono tensioni etniche (Kiir è di etnia dinka e Machar di etnia nuer), ma anche e soprattutto uno scontro sulla gestione delle immense risorse naturali sudsudanesi: petrolio e acqua. A ciò si aggiungono anche gli interessi delle potenze regionali, Sudan ed Uganda, che sostengono le due parti avverse e hanno interesse a influenzare la politica sudsudanese.
Su questa nuova tornata di colloqui è intervenuto anche il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan. «È inaccettabile – è scritto in un comunicato del Consiglio rilanciato dall’agenzia Misna – che le persone continuino a uccidere e ad essere uccise mentre i leader discutono di potere, ruoli e percentuali». Base del colloquio è una proposta di compromesso dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) che i leader religiosi invitano tutte le parti «a firmare e a onorare implementando un cessate il fuoco». Una volta ottenuto questo passo, le Chiese si rendono disponibili a mediare in un ulteriore processo di pace e riconciliazione nazionale.
I colloqui di Addis Abeba, tuttavia, sono ripartiti tra le difficoltà: uno dei principali esponenti dell’opposizione, Lam Akol, ha annunciato di non poter essere in Etiopia in quanto la polizia gli avrebbe impedito di prendere posto sull’aereo in partenza dalla capitale sud sudanese Juba. Un portavoce governativo ha negato che le autorità fossero a conoscenza del fatto che Akol fosse ufficialmente invitato al tavolo della pace.