Il presidente Salva Kiir e il suo rivale Riek Machar hanno firmato un accordo di pace ad Addis Abeba (Etiopia). Questo accordo è il primo dopo quello siglato nel 2015 che non è stato rispettato. Una firma che rappresenta il culmine di 15 mesi di negoziati con le mediazioni di Etiopia, Sudan, Uganda o Kenya.
Il nuovo testo è in parte basato su precedenti intese intermedie. Da ieri, 13 settembre, è iniziata una pretransizione di otto mesi che sarà seguita dalla vera e propria transizione che durerà tre anni con, alla fine, le elezioni. Nel frattempo, Salva Kiir rimane presidente. Il suo principale avversario Riek Machar diventa primo vicepresidente.
Un comitato sarà responsabile della delimitazione degli Stati federali, che dovranno rispettare i territori delle tribù. Una questione cruciale, perché l’opposizione accusa il presidente di cercare di favorire la sua etnia, i Dinka.
Il quorum del Consiglio dei ministri, necessario al governo per prendere decisioni, dovrà ora raggiungere 23 ministri, di cui sei dell’opposizione. Infine, le questioni di sicurezza. Sarà creata una forza con soldati dei Paesi Igad per garantire l’applicazione del testo sul terreno.
Il nuovo accordo di pace ha suscitato reazioni contrastanti. L’organizzazione della società civile Cepo afferma che l’intesa deve ora essere attuata e che la parte difficile deve quindi ancora venire. La comunità internazionale è molto scettica. La troika (Gran Bretagna, Stati Uniti, Norvegia) ha espresso preoccupazione. Klem Ryan, che è stato membro del panel delle Nazioni Unite nel Sud Sudan, parla di «profondo scetticismo» dei diplomatici, che vedono questo documento come «incoerente, vago su punti cruciali» e che non consentirà «una pace duratura».