In Sud Sudan, il presidente Salva Kiir e il leader ribelle Riek Machar hanno deciso di formare un governo di unità di transizione. Grazie alle pressioni delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e dei Paesi della regione, lo scorso anno Kiir e Machar avevano firmato un accordo di pace per porre fine alla guerra civile durata cinque anni e avevano accettato di formare un governo di unità entro il 12 novembre. I due leader avevano poi rinviato la scadenza di 100 giorni, spingendo Washington a fare nuove pressioni, sollevando i timori di una ripresa della guerra civile che ha già creato migliaia di morti e decine di migliaia di profughi e rifugiati.
Ieri è arrivata la risposta di Mache e Kiir: «Abbiamo detto che dopo 100 giorni avremmo formato un governo di unità nazionale. Anche se non riusciremo a siglare tutti gli accordi preliminari necessari, formeremo ugualmente un governo di transizione di unità nazionale». «Il cessate il fuoco – hanno aggiunto – continuerà e nessuno di noi è disposto a riaccendere la guerra».
Nonostante queste dichiarazioni di principio, rimangono insoluti alcuni punti-chiave. In particolare l’integrazione delle diverse milizie in un unico esercito nazionale e il numero di province in cui il Paese, creato nel 2011, deve essere suddiviso. «Abbiamo parlato del numero di Stati e dei loro confini, ma non abbiamo ancora raggiunto un’intesa», ha detto Machar.
Lunedì gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a due alti funzionari del Sud Sudan per il loro ruolo nel perpetuare il conflitto e hanno dichiarato di essere pronti a imporre altre misure a chiunque cerchi di far deragliare il processo di pace. «Tutti sanno cosa bisogna fare. Dev’essere presto raggiunta una soluzione al problema degli Stati. Non ci sono alternative. E misureremo di conseguenza le nostre reazioni», ha affermato il rappresentante speciale dell’Ue per il Corno d’Africa, Alexander Rondos.