Sud Sudan, la parola (ancora) alle armi

di Enrico Casale
Soldato sudsudanese

Rifugiati sudsudanesi C’era un ottimismo diffuso per la ripresa dei colloqui tra le parti in conflitto in Sud Sudan. Ma la prima tornata di incontri è finita sabato scorso con un nulla di fatto. Le delegazioni avevano deciso di incontrasi separatamente con il Presidente keniano Uhuru Kenyatta a Nairobi. Ma al termine dei colloqui il portavoce dei ribelli Mabior Garag ha dichiarato che ancora una volta non si è arrivati a un «accordo tangibile».

Nel più giovane Paese del mondo (è nato nel 2011) da 18 mesi si combatte una guerra civile tra il Presidente Salva Kiir, di etnia dinka, e il suo ex vice Riek Machar, di etnia nuer. Più che un conflitto etnico, però, si tratta di uno scontro per la gestione dei profitti delle ingenti riserve di idrocarburi. Non è un caso che i più feroci combattimenti si siano combattuti prevalentemente nelle regioni dove sono presenti i pozzi petroliferi.

È difficile tracciare un bilancio delle vittime: secondo l’Onu sarebbero «decine di migliaia». Certamente la crisi umanitaria è gravissima. I pesanti combattimenti degli ultimi due mesi negli Stati di Unity e Upper Nile nel Sud Sudan hanno provocato la migrazione forzata di più di 100mila persone e hanno bloccato le consegne di aiuti umanitari per 650mila persone, dal momento che le organizzazioni umanitarie sono state costrette a ritirarsi. Le statistiche dell’Acnur (l’agenzia Onu per i rifugiati) parlano di 60mila cittadini sudsudanesi che hanno lasciato il Paese per raggiungere il Sudan (30mila), l’Etiopia (15mila) e l’Uganda (15mila), portando il numero di sudsudanesi fuggiti dal Paese da dicembre 2013 a 555mila, mentre gli sfollati sarebbero 5 milioni.

I rifugiati citano la recrudescenza dei combattimenti, ma anche la crescente insicurezza alimentare tra le principali ragioni che li hanno indotti a fuggire dalle loro case. Si stima che non abbiano cibo a sufficienza più di 3,8 milioni di persone, cioè un terzo della popolazione del Sud Sudan, che è di 11 milioni di persone.

Con il fallimento delle trattative la parola è passata nuovamente alle armi. Duri scontri si sono tenuti ieri, tra i ribelli e i governativi per il controllo di Malakal capitale dello stato dell’Upper Nile nel Nord del Paese. Johnson Olony, comandante dei ribelli ha dichiarato il pieno controllo della città. Fonti locali hanno confermato i violenti combattimenti di domenica ma che i governativi continuano a mantenere alcune posizioni in città.

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