All’età di quasi 92 anni, che avrebbe compiuto il 18 gennaio, ha lasciato ieri questo mondo il fotografo sudafricano Peter Magubane, uno dei pochi fotografi neri ad aver coperto l’era repressiva dell’apartheid.
Una delle sue immagini più importanti, nel 1956 in un ricco sobborgo di Johannesburg, mostrava una ragazza bianca seduta su una panchina con un cartello con la scritta “Solo europei” mentre un lavoratore nero sedeva dietro di lei.
Magubane amava dire che aveva iniziato a nascondere la sua macchina fotografica nelle pagnotte di pane, nei cartoni di latte o persino nella Bibbia, per scattare foto clandestinamente. Non ha mai messo in scena le foto, né ha chiesto il permesso di fotografare le persone.
“Non volevo lasciare il paese per trovare un’altra vita”, ha detto al Guardian nel 2015. “Sarei rimasto e avrei combattuto con la mia macchina fotografica al posto della pistola. Non volevo uccidere nessuno, però. Volevo uccidere l’apartheid”.
Negli anni ’60, nel mezzo dell’ondata di attivismo anti-apartheid, coprì l’arresto di Nelson Mandela e la messa al bando del partito African National Congress (Anc), ora al potere.
Peter Magubane è stato regolarmente molestato, aggredito, arrestato e, a partire dal 1969, rinchiuso per 586 giorni in isolamento. Negli anni ’90, fu nominato fotografo ufficiale di Mandela, al rilascio di quest’ultimo.
La violenza nel Paese lo ha messo a dura prova nel 1992, quando suo figlio Charles, anche lui fotografo e allora poco più che trentenne, fu assassinato nella tentacolare periferia nera di Soweto.